Scoperto innesco dell’Alzheimer, se bloccato i sintomi rallentano o si invertono: “Possibili terapie”
I ricercatori hanno scoperto un meccanismo in grado di innescare la neurodegenerazione determinata dal morbo di Alzheimer, la principale forma di demenza al mondo. Esso è associato alle cellule di microglia (il sistema di difesa immunitaria del cervello) che possono avere una duplice funzione: protettiva o dannosa in caso di eccessiva attivazione. Bloccando tale meccanismo in modelli animali (topi) affetti dalla forma murina della malattia, gli scienziati non solo sono riusciti a rallentarne la progressione, ma addirittura a invertirne i sintomi. Ciò significa che, agendo nello stesso modo con farmaci appropriati sull'essere umano, potrebbe essere possibile contrastare la terribile patologia neurodegenerativa, che attualmente colpisce oltre 40 milioni di persone, secondo i dati dell'Organizzazione Mondiale della Sanità (i casi triplicheranno entro il 2050, in base alle stime). Poiché si tratta di una malattia incurabile e devastante dal punto di vista sanitario, sociale ed economico, scoprire nuove, potenziali strategie di trattamento è estremamente prezioso.
A scoprire il meccanismo in grado di accelerare l'Alzheimer e i benefici del suo blocco su modelli murini è stato un team di ricerca internazionale guidato da scienziati statunitensi del Centro di ricerca scientifica avanzata della Città Universitaria di New York (CUNY), che hanno collaborato con i colleghi di diversi istituti. Fra quelli coinvolti la Divisione di Scienze Mediche dell'Università di Victoria (Canada), il Dipartimento di oftalmologia e scienze visive dell'Università del Michigan, il Centro di ricerca sul cervello CERVO di Québec City, il Dipartimento di Psichiatria della Johns Hopkins University e molti altri. I ricercatori, coordinati dalla professoressa Pinar Ayata, docente presso l'Advanced Science Research Center del CUNY Graduate Center (CUNY ASRC), sono giunti alle loro conclusioni dopo essersi concentrati sulle cellule di microglia, cellule gliali fondamentali per la difesa immunitaria e il rilascio di molecole di segnalazione (come le citochine) nel cervello.
Questo sistema immunitario specifico del sistema nervoso ha una duplice faccia: da una parte quella benefica e protettiva, in grado di difendere l'encefalo e il midollo spinale dai danni scatenati dalle infezioni batteriche o virali; dall'altra un lato oscuro, chiamato non a caso “Dark Microglia” dagli autori del nuovo studio, che catalizza la neurodegenerazione, ovvero la morte dei neuroni, che è intimamente connessa a malattie come l'Alzheimer e il Parkinson. In parole semplici l'eccessiva attivazione della microglia può portare a infiammazione e danni neuronali. Un recente studio guidato da scienziati dell'ASU-Banner Neurodegenerative Disease Research Center – Biodesign Institute dell'Università Statale dell'Arizona, ad esempio, ha determinato che questa attivazione maligna della neuroglia può essere legata a un'infezione da citomegalovirus nell'intestino.
La professoressa Ayata e colleghi hanno scoperto che un percorso legato allo stress cellulare conosciuto come “risposta integrata allo stress (ISR)” induce la microglia a produrre e rilasciare nel sistema nervoso lipidi tossici, che a loro volta catalizzano la neurodegenerazione dei neuroni e dei precursori degli oligodendrociti legati alla funzione cerebrale. La loro morte è fortemente associata all'Alzheimer. Una volta identificato questo percorso dello stress cellulare, i ricercatori hanno condotto specifici esperimenti con modelli murini affetti dalla malattia. Inibendo farmacologicamente l'attivazione dell'ISR si sono resi conto che non solo i sintomi dell'Alzheimer murino venivano rallentati, ma addirittura invertiti, preservando le sinapsi danneggiate dai lipidi neurotossici e impedendo l'accumulo di grovigli di proteina tau (che assieme alle placche di beta-amiloide sono le principali proteine “appiccicose” legate all'Alzheimer).
“Questi risultati rivelano un legame fondamentale tra lo stress cellulare e gli effetti neurotossici della microglia nel morbo di Alzheimer. Colpire questo percorso potrebbe aprire nuove strade al trattamento, bloccando la produzione di lipidi tossici o prevenendo l'attivazione di fenotipi microgliali dannosi”, ha dichiarato in un comunicato stampa la coautrice dello studio Anna Flury. “Tali trattamenti potrebbero rallentare significativamente o addirittura invertire la progressione del morbo di Alzheimer, offrendo speranza a milioni di pazienti e alle loro famiglie”, le ha fatto eco la collega Leen Aljayousi. Nel caso si riuscisse ad arrivare a farmaci sicuri ed efficaci, potremmo essere innanzi a una vera e propria svolta almeno per una parte dei pazienti con questa forma di demenza. I dettagli della ricerca “A neurodegenerative cellular stress response linked to dark microglia and toxic lipid secretion” sono stati pubblicati sulla rivista scientifica specializzata Neuron.