Scoperta una parte del cervello che si attiva solo con il canto (e non con la musica strumentale)
Il cervello umano ha una complessità senza pari. In meno di un chilo e mezzo di materia, ospita 86 miliardi di cellule nervose di diverse migliaia di tipi diversi, ciascuna delle quale comunica con altre migliaia di neuroni, formando un circuito che non solo controlla e coordina il funzionamento di tutti i nostri organi, ma fa di noi ciò che siamo, pensiamo e ricordiamo, originando tutte le nostre abilità più sofisticate, come il linguaggio, la socialità e la capacità di elaborare e reagire a ciò che ci accade intorno.
Associare queste straordinarie possibilità, plasmate da milioni di anni di evoluzione, a specifici neuroni non è un’impresa semplice ma un nuovo studio, appena pubblicato dai ricercatori del Massachusetts Institute of Technology (MIT) su Current Biology, ha fornito nuove informazioni su quella che la risposta del cervello a ciò che ascoltiamo e, in particolare, alla musica, scoprendo che esiste una specifica popolazione di neuroni che si attiva solo quando sentiamo cantare e non quando la melodia non è accompagnata dalla voce.
Neuroni specifici per il canto
In altre parole, sulla corteggia uditiva, ci sono neuroni specifici per il canto, che i ricercatori hanno identificato nella parte superiore del lobo temporale, vicino a regioni selettive per la voce e la musica, dove potrebbero rispondere anche a caratteristiche come il tono percepito o l’interazione tra le parole e il tono percepito, prima di inviare informazioni ad altre parti del cervello per ulteriori elaborazioni.
“Esiste una popolazione di neuroni che risponde al canto, e poi molto vicino c'è un’altra popolazione di neuroni che risponde ampiamente alla musica – ha affermato Sam Norman-Haignere, ex ricercatore post-dottorato del MIT che ora è assistente professore di neuroscienze presso il centro medico dell’Università di Rochester, nello stato di New York – . Con la risonanza magnetica funzionale, queste popolazioni sono così vicine da non poter essere distinte, ma attraverso le registrazioni dell’attività elettrica del cervello, abbiamo ottenuto una risoluzione aggiuntiva che ci ha permesso di distinguerle”.
Le registrazioni neurali
Queste registrazioni neurali, ottenute con una tecnica note come elettrocorticografia (ECoG) che consente di registrare l’attività elettrica mediante elettrodi posti all’interno del cranio, hanno infatti offerto un quadro molto più preciso rispetto alla risonanza magnetica funzionale, che invece misura il flusso sanguigno nel cervello come variabile dell’attività neuronale.
L’elettrocorticografia non viene però eseguita come esame di routine, perché è una procedura invasiva, sebbene sia spesso utilizzata per monitorare i pazienti con epilessia che stanno per sottoporsi a un intervento chirurgico per il trattamento delle convulsioni. Generalmente questi pazienti vengono monitorati per diversi giorni, in modo che i medici possano determinare l’origine dei loro attacchi prima dell’intervento e, durante questo periodo, se d'accordo, gli stessi pazienti possono partecipare a studi che implicano la misurazione della loro attività cerebrale durante l’esecuzione di determinati compiti.
Per questo studio, i neuroscienziati del MIT sono riusciti a raccogliere dati da 15 partecipanti, registrando la loro attività neurale durante la riproduzione di uno stesso set di 165 suoni, inclusi diversi tipi di conversazione, brani cantati e musica strumentale, oltre a suoni quotidiani come lo schiocco delle dita o l’abbaiare di un cane.
Le registrazioni intracraniche sono state poi confrontate matematicamente con i dati di risonanze magnetiche funzionali ottenute in altro loro studio del 2015, il che ha permesso di dedurre quali tipi di popolazioni neurali avessero prodotto i dati registrati da ciascun elettrodo. “Quando abbiamo applicato il metodo matematico a questo set di dati, è emerso un modello di risposta neurale che rispondeva solo al canto – ha aggiunto Norman-Haignere – . Questa è stata una scoperta che davvero non ci aspettavamo, quindi giustifica molto l’intero obiettivo della ricerca, che è quello di rivelare elementi potenzialmente nuovi che potresti non pensare di cercare”.