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Scoperta la possibile causa dell’Alzheimer: può cambiare tutto per prevenzione e cura

Un team di ricerca dell’Università Statale dell’Arizona ha identificato la possibile, unica causa scatenante dell’Alzheimer, una malattia neurodegenerativa complessa e principale forma di demenza al mondo. Cosa è stato scoperto e perché può rivoluzionare diagnosi, prevenzione e terapie.
A cura di Andrea Centini
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I ricercatori hanno avanzato un'ipotesi rivoluzionaria sulla causa scatenante del morbo di Alzheimer, la principale forma di demenza al mondo che colpisce decine di milioni di persone, come indicano i dati dell'Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS). Secondo un nuovo studio, alla base vi sarebbe un blocco della comunicazione tra il nucleo delle cellule – dove risiede il DNA – e il citoplasma, che comprende tutto ciò che è presente nelle cellule a eccezione degli organelli e del nucleo. In questa regione avvengono molteplici funzioni essenziali, come la sintesi proteica, la glicolisi e la segnalazione cellulare, tra le altre cose. Questo blocco nel trasporto cellulare sarebbe causato dall'accumulo nel cervello dei cosiddetti granuli di stress (SG), ovvero “condensati citoplasmatici senza membrana che contengono mRNA non tradotto, fattori di pre-inizio della traduzione e proteine leganti l'RNA (RBP)”, come indicato in uno studio dell'Università di Parma. In parole semplici, si tratta di aggregati di RNA e proteine che si formano in risposta allo stress, che può essere innescato da molteplici fattori, come le tossine legate all'inquinamento ambientale, la presenza di patogeni o la denutrizione.

Questi granuli di stress, che hanno la funzione proposta di proteggere l'RNA e le proteine, quando si accumulano cronicamente nel cervello possono stravolgere l'espressione di un migliaio di geni e portare alla cascata di eventi che sfocia nella neuroinfiammazione e nella neurodegenerazione, ovvero la morte dei neuroni, che è alla base dell'Alzheimer. Non a caso nei pazienti affetti dalla patologia si evidenziano molteplici anomalie nei geni che producono proteine fondamentali per le funzioni delle cellule. In pratica, bloccando le comunicazioni tra nucleo e citoplasma, gli aggregati di proteine e RNA catalizzerebbero lo stress cellulare innescando le anomalie tipicamente associate all'Alzheimer, come l'accumulo delle placche di beta-amiloide e i grovigli di proteina tau, “proteine appiccicose” rilevate nel tessuto cerebrale dei pazienti con la comune forma di demenza (anche se non sempre).

Le cause effettive della patologia neurodegenerativa non sono note, ma lo sono i fattori di rischio genetici – come ad esempio la presenza di una variante del gene APOE4 – e ambientali; dall'esposizione allo smog ai disturbi del sonno, passando per isolamento sociale, vizio del fumo e dell'alcol, basso livello di istruzione, varie patologie e altri. Alla base di tutto ci sarebbe la profonda alterazione nell'espressione genica innescata da questi granuli si stress. A proporre questa teoria rivoluzionaria sull'innesco del morbo di Alzheimer è stato un team di ricerca statunitense del Banner Neurodegenerative Disease Research Center – Istituto di Biodesign dell'Università Statale dell'Arizona. I ricercatori, coordinati dal professor Paul Colemann, sono giunti alle loro conclusioni dopo aver analizzato i dati di un precedente studio pubblicato nel 2022, nel quale un team di ricerca guidato dal professor Morgan aveva evidenziato che nei pazienti con Alzheimer erano presenti cambiamenti in oltre il 90 percento dei percorsi genetici presenti nel KEGG (acronimo di Kyoto Encyclopedia of Genes and Genomes), un ricco database bioinformatico che abbraccia molteplici informazioni su geni, proteine e malattie.

“La nostra proposta, incentrata sulla rottura della comunicazione tra nucleo e citoplasma che porta a massicce interruzioni nell'espressione genica, offre un quadro plausibile per comprendere in modo completo i meccanismi che guidano questa complessa malattia”, ha dichiarato in un comunicato stampa il professor Coleman. “Studiare queste prime manifestazioni dell'Alzheimer potrebbe aprire la strada ad approcci innovativi alla diagnosi, al trattamento e alla prevenzione, affrontando la malattia alle sue radici”, ha aggiunto l'esperto. Poter intervenire contro questo malfunzionamento generalizzato dell'espressione genica, che i ricercatori associano a un blackout di tutti i sistemi critici di una grande città, potrebbe prevenire gli effetti a cascata che portano alla neuroinfiammazione e alla morte neuronale, che sfociano successivamente nei sintomi della demenza. Fra i principali vi sono perdita della memoria, difficoltà nell'orientamento, problemi nel linguaggio, sbalzi d'umore e altre caratteristiche del declino cognitivo.

Poiché i segnali precoci dell'Alzheimer possono essere evidenziati ben 18 anni prima della manifestazione clinica della malattia, l'accumulo di questi granuli di stress avverrebbe in una fase ancora precedente. Di fatto, sarebbe la cronicizzazione di questi aggregati a bloccare il fondamentale trasporto cellulare tra nucleo e citoplasma, innescando tutti i percorsi biologici che portano alla malattia. Riconoscere e colpire questi granuli di stress potrebbe rappresentare una svolta nella diagnosi e nei trattamenti dell'Alzheimer: “Il nostro articolo contribuisce al dibattito in corso su quando inizia davvero l'Alzheimer, un concetto in evoluzione plasmato dai progressi della tecnologia e della ricerca. Le domande chiave sono quando può essere rilevato per la prima volta e quando si dovrebbe iniziare a intervenire, entrambe con profonde implicazioni per la società e per i futuri approcci medici”, ha chiosato il professor Coleman. I dettagli della ricerca “Massive changes in gene expression and their cause(s) can be a unifying principle in the pathobiology of Alzheimer's disease” sono stati pubblicati sulla rivista scientifica specializzata Alzheimer's and Dementia: The Journal of the Alzheimer's Association.

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