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Autismo nei bambini, scoperta associazione con la plastica: i rischi del bisfenolo A

Un team di ricerca internazionale guidato da scienziati australiani ha scoperto un’associazione tra l’esposizione al bisfenolo A (BPA), un composto chimico presente in molte plastiche, e lo sviluppo dei disturbi dello spettro autistico. Recentemente l’ESFA ha affermato che la sostanza è pericolosa per la salute e che in Europa siamo esposti a livelli superiori oltre la soglia di sicurezza.
A cura di Andrea Centini
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Un nuovo studio ha trovato un'associazione significativa tra un composto chimico presente nella plastica e lo sviluppo dell'autismo, o meglio, dei disturbi dello spettro autistico. Più nello specifico, la sostanza finita nel mirino degli scienziati è il famigerato bisfenolo A (BPA), utilizzato in molte plastiche dure (come il policarbonato) per confezioni alimentari, come bottiglie e vaschette. Recentemente l’Autorità europea per la sicurezza alimentare (ESFA) dell'Unione Europea (UE) ha affermato che questo composto rappresenta un pericolo per i consumatori; il bisfenolo A, infatti, è classificato come interferente endocrino, cioè è una sostanza in grado di alterare la normale funzionalità ormonale. Per questo è stato associato a numerose malattie e disturbi, come infertilità, tumori e diabete. Il nuovo studio ha fatto emergere anche una possibile relazione con l'autismo, sebbene si tratta solo di uno studio di osservazione dal quale non possono essere determinati rapporti di causa-effetto. In altri termini, non è stato scoperto che il bisfenola A provoca l'autismo, ma che è uno dei possibili fattori scatenanti assieme a quelli genetici, ambientali e di altro tipo.

A trovare l'associazione tra bisfenolo A e disturbi dello spettro autistico è stato un team di ricerca internazionale guidato da scienziati australiani dell'Istituto Florey di neuroscienze e salute mentale di Parkville e della Facoltà di Scienze dell'Università di Melbourne, che hanno collaborato a stretto contatto con i colleghi di diversi istituti. Fra quelli coinvolti il Columbia Center for Children's Environmental Health dell'Università Columbia di New York (Stati Uniti), la Scuola di Scienze Cliniche dell'Università Monash e l'Hudson Institute of Medical Research di Clayton. I ricercatori, coordinati dal professor Wah Chin Boon della Scuola di Bioscenze, sono giunti alle loro conclusioni dopo aver condotto specifiche analisi sia sulle persone che sui topi. Per quanto concerne la parte clinica sono stati coinvolti oltre mille bambini australiani, dei quali 43 hanno ricevuto una diagnosi di autismo (29 bambini e 14 bambini) tra i sette e gli 11 anni. I ricercatori hanno anche analizzato le concentrazioni di BPA nelle urine di centinaia di madri al termine della gravidanza (per verificare l'esposizione dei feti nell'utero al composto durante la gestazione) e valutato i cambiamenti genetici nel sangue del cordone ombelicale, per verificare l'attività dell'enzima aromatasi. Esso è strettamente connesso ai livelli degli ormoni estrogeni, come specificato in un articolo su The Conversation dalla professoressa Elisa Hill-Yardin, docente e direttrice presso l'Head, Gut-Brain Axis Laboratory dell'Università RMIT. È stato determinato che il BPA sopprime e compromette l'espressione dell'aromatasi cerebrale, sfociando in livelli più bassi degli estrogeni.

Incrociando tutti i dati è emerso che i bambini con una bassa attività dell'aromatasi e figli di madri con elevati livelli di BPA avevano un rischio superiore di avere una diagnosi di autismo.  Come indicato, si tratta di una forte associazione, ma che non evidenzia un rapporto di causa-effetto. Per determinare i processi biologici coinvolti, il professor Chin Boon e colleghi hanno condotto specifici esperimenti con modelli murini (topi), esponendo gli animali a vari livelli di bisfenolo A. In questi roditori trattati è stato osservato un aumento della toelettatura e una riduzione delle interazioni sociali; in pratica, hanno sviluppato comportamenti assimilabili ad alcune caratteristiche dei disturbi dello spettro autistico nell'uomo, come appunto i comportamenti ripetitivi e l'isolamento dagli altri. Analizzando i tessuti cerebrali dei topi, inoltre, sono stati osservati cambiamenti nell'amigdala a seguito dell'esposizione al composto chimico, un dettaglio significativo, considerando che in essa vengono regolate le emozioni e la cognizione sociale.

In definitiva, gli autori del nuovo studio suggeriscono che l'esposizione ad alti livelli di BPA possa sopprimere l'attività dell'enzima aromatasi che a sua volta altera la produzione degli ormoni estrogeni, una condizione che potrebbe favorire l'innesco dell'autismo. “Dimostriamo che l'esposizione prenatale al BPA è associata a una funzionalità dell'aromatasi cerebrale compromessa e a comportamenti e anomalie cerebrali correlati all'ASD (disturbi dello spettro autistico NDR) nei maschi che possono essere reversibili attraverso un intervento postnatale con 10HDA”, spiegano Chin Boon e colleghi nell'abstract dello studio. L'acido 10-idrossi-2-decenoico o 10HDA è un composto testato nei topi che è stato in grado di ridurre i comportamenti anomali e invertire “l'espressione genica neuroevolutiva dannosa”. Il BPA al momento può essere considerato solo come uno dei possibili fattori coinvolti nell'autismo e non la causa scatenante vera e propria, alla luce dei risultati di numerosi altri studi sul tema.

È interessante notare che un precedente studio condotto da scienziati statunitensi delle università Rowan e Rutgers aveva determinato che i bambini affetti da autismo esposti al bisfenolo A corrono rischi maggiori per la loro salute, a causa del fatto che in questi piccoli è meno efficiente la glucuronidazione, ovvero la capacità di eliminare le tossine in circolo attraverso l’urina. I dettagli della nuova ricerca “Male autism spectrum disorder is linked to brain aromatase disruption by prenatal BPA in multimodal investigations and 10HDA ameliorates the related mouse phenotype” sono stati pubblicati su Nature Communications.

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