Restano poche ore di ossigeno sul Titan: come reagisce il corpo umano quando scarseggia
Nel momento in cui stiamo scrivendo mancano meno di 18 ore prima che si esaurisca l'ossigeno a bordo del Titan, il piccolo sottomarino di OceanGate Expedition disperso nell'Oceano Atlantico durante una missione turistica per ammirare il Titanic, il cui relitto giace a 3.800 metri di profondità a largo della costa nordamericana. La consapevolezza che le cinque persone a bordo potrebbero trovarsi bloccate da giorni all'interno del natante, magari adagiato sul fondo dell'abisso o incagliato sul relitto del Titanic, è scioccante e angosciante. Un dramma senza precedenti – anche alla luce del legame col celebre transatlantico – che sta tenendo col fiato sospeso il mondo intero.
Le scorte di ossigeno a bordo del sottomarino
Nella migliore delle ipotesi la riserva di ossigeno per l'equipaggio si esaurirà completamente entro mezzogiorno (ora italiana) di giovedì 22 giugno. Superata questa soglia, già ottimistica, non ci saranno più speranze di trovare in vita eventuali superstiti all'interno del Titan. È una stima ottimistica perché fa riferimento alla riserva di ossigeno massima e al consumo medio, ma l'ansia, la paura, l'agitazione e lo stress che coglierebbero chiunque in una situazione così drammatica possono letteralmente divorare le scorte, molto più rapidamente di quanto previsto dalle schede tecniche.
In questa circostanza l'aiuto più prezioso molto probabilmente lo sta fornendo Paul-Henri Nargeolet, pilota del sommergibile e famoso esploratore francese, che ha visitato il relitto del Titanic decine di volte negli ultimi 30 anni. Come spiegato alla CNN dal dottor Joe MacInnis, medico e sommozzatore esperto che ha visitato due volte il relitto dello sfortunato transatlantico, Nargeolet è un “leader straordinario” nelle situazioni di crisi e aiuterà gli altri a mantenere la calma, a risparmiare le energie e soprattutto l'ossigeno, nella speranza che qualcuno riesca a individuarli.
Ma cosa succede al corpo umano quando inizia a scarseggiare l'ossigeno? Si va incontro a una condizione chiamata ipossia generalizzata, ovvero una carenza di ossigeno che colpisce tutti i tessuti e gli organi del nostro corpo. Può manifestarsi in alta montagna, dove l'aria è più rarefatta e la concentrazione di ossigeno per metro cubo è sensibilmente inferiore rispetto a quella presente a livello del mare.
È il motivo per cui gli scalatori che affrontano l'Everest e le altre vette portano bombole di ossigeno. Ci sono naturalmente diverse malattie che possono innescare l'ipossia, come l'asma, il cancro ai polmoni, la broncopneumopatia cronica ostruttiva, l'anemia, patologie neurodegenerative e molte altre ancora. Anche un boccone andato di traverso può ostruire le vie respiratorie e scatenare la grave condizione.
I sintomi della carenza di ossigeno
Come spiegato dall'Istituto Humanitas, la carenza d'ossigeno comporta un'ampia serie di sintomi. Fra essi vi sono capogiri, stato confusionale, cianosi, aumento della pressione sanguigna, tachicardia (battito cardiaco accelerato), problemi alla vista, perdita della coordinazione e respiro accelerato. Quando la carenza di ossigeno si aggrava, spiega l'Humanitas, bastano quattro minuti per determinare danni irreversibili a organi vitali come il fegato, il cuore e il cervello. È interessante notare che un recente studio condotto da scienziati Consiglio Nazionale delle Ricerche (CNR) ha evidenziato come la riduzione di ossigeno al cervello, anche piccola, “compromette risposte comportamentali e livelli di allerta”, mentre restano inalterate “l'attenzione e il controllo sulle azioni”.
Il freddo, il buio e le altre difficoltà nel Titan
Ma se davvero i cinque uomini a bordo del Titan fossero ancora vivi, la carenza di ossigeno è solo uno dei problemi "biologici" contro cui stanno combattendo. Si ipotizza che la perdita di contatti possa essere stata provocata da un guasto al sistema di alimentazione, pertanto potrebbero trovarsi completamente al buio e soprattutto esposti a un freddo estremo. La visita al relitto del Titanic ha una durata di otto ore, sopportabili, ma sono quasi quattro giorni che si sono persi i contatti col sottomarino. Se fossero ancora in vita, come si augurano tutti, probabilmente saranno gli uni accanto agli altri per scaldarsi con i propri corpi.
Naturalmente non si può escludere un guasto improvviso con un incendio (in un ambiente chiuso e piccolo potrebbero essere fatali anche i soli fumi tossici) o un cedimento dello scafo, sebbene il Titan sia dotato di vari sistemi di sicurezza come il “Real Time Hull Health Monitoring (RTM)” che monitora costantemente la sua integrità e mette in allerta per tempo l'equipaggio. Il problema principale è che a quelle profondità non c'è via di fuga: non è possibile indossare una muta da sub, uscire dal sommergibile e riemergere tranquillamente in superficie, perché la pressione della colonna d'acqua è talmente forte da schiacciare in un istante il nostro organismo.
Corsa contro il tempo per i soccorsi
La scomparsa del Titan ha innescato una delle più imponenti e spettacolari operazioni di soccorso in mare aperto degli ultimi anni, coinvolgendo diversi Paesi – Stati Uniti, Canada, Francia – e mezzi di vario tipo, tra aerei, navi specializzate e altri sottomarini, in particolar modo ROV controllati da remoto, considerati la risorsa più preziosa poiché questi mezzi sono tra gli unici a poter raggiungere le profondità abissali dove potrebbe giacere il Titan. Non possono farlo i sottomarini della NATO, ad esempio.
La speranza è che i suoni ritmici e ripetuti captati dai mezzi di soccorso questa notte arrivino proprio dal sottomarino e che si riesca a individuarlo e recuperarlo prima che sia troppo tardi. Anche se il meglio dei soccorsi potrebbe non bastare, come raccontato a Fanpage dall'ammiraglio Di Paola.