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Covid 19

Pregliasco a Fanpage: “Abituati alla paura, ma Covid c’è ancora e immunità ibrida può non bastare”

A quasi quattro anni dallo scoppio della pandemia di Covid continuiamo a contare numerosi contagi e vittime ogni giorno. Per capire a che punto siamo, quali sono i rischi delle nuove varianti e com’è ammalarsi oggi rispetto al passato abbiamo contattato il virologo Fabrizio Pregliasco. Ecco cosa ci ha raccontato.
Intervista a Prof. Fabrizio Pregliasco
Direttore Sanitario dell’IRCCS Ospedale Galeazzi – Sant'Ambrogio e Professore associato di Igiene Generale e Applicata presso la sezione di Virologia del dipartimento di Scienze Biomediche per la Salute dell’Università degli Studi di Milano
A cura di Andrea Centini
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A quasi quattro anni dalla dichiarazione di pandemia di COVID-19 da parte dell'Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) le misure per arginare la diffusione del coronavirus SARS-CoV-2 sono ormai state quasi completamente rimosse in tutto mondo, lasciando al patogeno piena libertà di circolare ed evolversi in varianti sempre più immunoevasive. Anche se la fase più critica è alle spalle, ciò non significa affatto che la malattia sia diventata innocua. Lo dimostrano i bollettini rilasciati dalle autorità sanitarie, che oltre a evidenziare (soprattutto in questo periodo) un numero significativo di contagi ci mettono di fronte anche a centinaia di vittime ogni settimana.

In base all'ultimo rapporto pubblicato dal Ministero della Salute, nella settimana compresa tra il 7 e il 13 dicembre in Italia sono stati registrati oltre 55.000 nuovi casi positivi al virus, con 316 morti. Si tratta dell'1 percento in più rispetto ai decessi rilevati la settimana precedente, mentre le infezioni risultano in leggera flessione, sebbene secondo gli esperti i numeri diffusi rappresentano un'ampia sottostima dei casi reali. Per capire meglio l'attuale contesto e i rischi della pandemia di Covid, Fanpage.it ha contattato il virologo Fabrizio Pregliasco, Direttore Sanitario dell’IRCCS Ospedale Galeazzi – Sant'Ambrogio e Professore associato di Igiene Generale e Applicata presso la sezione di Virologia del dipartimento di Scienze Biomediche per la Salute dell’Università degli Studi di Milano. Ecco cosa ci ha raccontato.

Professor Pregliasco, innanzitutto le chiediamo com'è prendere la COVID-19 adesso rispetto all'inizio della pandemia, o comunque durante le fasi più critiche di questa emergenza sanitaria

Diciamo che noi un'immunità ibrida ce la siamo guadagnata praticamente tutti, perché abbiamo subito un'infezione, ci siamo vaccinati, oppure ci siamo vaccinati e poi abbiamo subito un'infezione o viceversa. Molti di noi non hanno neanche contezza di aver avuto l'infezione, perché la peculiarità e la capacità invasiva di questo virus sta proprio nel fatto che fa un bel po' di casi asintomatici. Qualcuno magari mi dice “non ho mai fatto il Covid”, ma in realtà non sa di averlo subito e gli è andata bene. Però diciamo che ha acquisito una risposta immunitaria. Questa immunità ibrida però un po' viene “fregata” dal fatto che il virus ha le sue varianti. È qui la forza del coronavirus, che non ha una intelligenza nel creare varianti, ma semplicemente è instabile nella sua capacità di replicazione. Tutti gli altri virus sono molto più attenti, mentre questo è come se fosse fatto da una cuoca che tutti i giorni deve fare delle torte: le prime le vengono bene, ma poi sbaglia la ricetta. Non seguire la ricetta può portare a dei guai spesso e volentieri, ed è così anche con i virus. Ma magari qualche variante della torta – magari con l'aggiunta di un po' di pistacchio – diventa anche un po' più buona, non so se mi spiego.

Il concetto è chiaro. Ci sono persone che in passato hanno preso l'infezione un paio di volte in modo lieve, mentre adesso stanno avendo sintomi più severi. Com'è possibile alla luce di questa immunità acquisita?

C'è questa immunità ibrida che in qualche modo ci difende, ma anche qui possiamo fare un'altra metafora. Il nostro organismo si fa un identikit del cattivo, ma il cattivo si fa crescere i bassi, se li taglia, e quindi – qui è la risposta alla sua domanda – in funzione della propria situazione contingente e anche della capacità della risposta immunitaria per patologie intercorrenti, può non riconoscere il cattivo con i baffi. Oppure lo riconosce tardivamente e quindi subisce comunque l'infezione, la malattia. Anche una più pesante di quelle che aveva avuto in passato, perché dipende proprio da come si riesce a reagire all'identikit della variante.

Il rischio può essere legato anche al fatto che ormai molti di noi si sono vaccinati da tempo e non hanno fatto ulteriori richiami, con il conseguente calo degli anticorpi? Anche se in teoria le cellule B dovrebbero comunque “ricordarsi” e produrne di nuovi

Questo sì, però diciamo che ciò avviene con questo gap di risposta. Di velocità della risposta. È proprio un gioco di velocità della nostra risposta e dell'infezione. Certe volte va bene, in altre vince il virus

A proposito di varianti immunoevasive, come esperti temete che possa emergere qualcosa di peggio delle attuali sottovarianti di Omicron?

Come accennavo prima, il virus non è intelligente. Non sceglie cosa fare. Praticamente commette degli errori e utilizza il principio darwiniano del caso e della necessità. Espone tutta la sua mercanzia e se ha caratteristiche evolutive vantaggiose per lui emerge, mentre gli altri “vanno a farsi benedire”. Darwin diceva questo: emergono le varianti e vince chi è più vantaggioso. Ad oggi in un contesto come questo potrebbe venir fuori un cigno nero, che è una variante pazzesca, cattiva. Però tutto sommato nell'ambito attuale, anche dei controlli della salute, una malattia grave e pesante oggi forse riusciremmo a tamponarla, perché siamo ancora attenti a questo aspetto.  È più probabile invece vedere un'evoluzione continua come quella che stiamo evidenziando. Cioè virus sempre più contagiosi, per riuscire a penetrare in quel contesto di infezioni ibride, che devono cercare di superare. Parliamo quindi di un virus più buono, così con gli asintomatici e quelli che tossiscono un pochino riesce a diffondersi su ampio raggio. In fondo al virus non interessa ammazzare le cellule. Anzi, è un parassita che se convive bene per lui è meglio. Un maestro in questo senso è il virus dell'epatite C, ma anche l'HIV. Quello dell'epatite C fa un sacco di esportatori sani che infettano gli altri. Per anni ci si porta il virus nel fegato e solo a distanza di 15 – 20 anni dà degli effetti negativi.

Delle varianti più recenti come Pirola, Eris e JN.1, qual è quella che la preoccupa un di più? C'è qualche caratteristica da tenere sott'occhio?

Il Covid dal punto di vista sintomatologico si esprime in tutti i modi possibili delle infezioni respiratorie. Dal niente a forme pesantissime. Queste ultime varianti come la Eris e le altre sembrerebbero dare più mal di gola e faringite, molto meno la perdita di gusto e di olfatto. Ma fondamentalmente non cambia niente. Però dal punto di vista delle percentuali è sicuramente più buona.

Non ce n'è quindi una che la rende meno tranquillo?

No, no

Alla luce della situazione attuale, secondo lei quando l'OMS dichiarerà la fine della pandemia? Si dice da tempo che potrebbe arrivare questo annuncio

Non esiste una fine formale della pandemia, in realtà. Questo virus ormai ce lo “sciropperemo” per anni. Come dico io farà come le onde di un sasso lanciato nello stagno. Però purtroppo siamo ancora in una fase di onde impegnative, ora in fase di salita. Nel tempo probabilmente questo Covid diventerà come gli altri coronavirus che conosciamo. Ce ne sono altri quattro che girano, quelli che danno forme simil–influenzali, raffreddori. Via via la tendenza sarà quella. Ma diciamo che la fine della pandemia è più la tolleranza della presenza della malattia. Noi ci siamo dimenticati tutto. E giustamente per certi versi, perché è anche un fatto di resilienza. Non è che possiamo martellarci tutti i giorni.

Però di morti ce ne sono ancora tanti ogni settimana

È come nel gioco della roulette russa, con il colpo in canna. È chiaro che oggi ci si gioca di più rispetto al passato. Poi ci siamo abituati alla paura

Per quanto concerne la Flurona, cioè l'infezione combinata di Covid e influenza, si aspetta un picco?

No. Chissà quanti casi ci sono di Flurona, ma non misurati. Perché solo in poche occasioni si fa il doppio test. Magari una brutta forma di Covid è quello. È una constatazione del fatto che possono esserci doppie infezioni. La metterei solo in questi termini. Non è che c'è una quota importante in questo senso.

Pensa possa essere peggiore della singola infezione?

Assolutamente sì, c'è una doppia infezione. Sicuramente non è bella e rientra nelle manifestazioni più pesanti

In merito ai vaccini, lei li estenderebbe a tutta la popolazione oppure continuerebbe con le sole fasce più deboli?

Ormai le regioni hanno aperto a tutti, chi vuole lo può fare, è gratuito. Però è chiaro che la scelta è una scelta politica. Io dico che è un'opportunità per tutti. Per un giovane che ha degli impegni stringenti rischiare di stare cinque giorni al letto “secco”, come con l'influenza, è comunque un elemento. È vero che questo vaccino come quello dell'influenza non ha una grossissima capacità di prevenire l'infezione, però migliora il decorso e le possibili complicanze. Diventa un'opportunità per tutti. Poi se il giovane ha in casa i bambini piccoli, i nonni o la suocera, è bene che lo faccia.

Le informazioni fornite su www.fanpage.it sono progettate per integrare, non sostituire, la relazione tra un paziente e il proprio medico.
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