Quanti caffè bevi ogni giorno? Il numero di tazzine sembra essere scritto nel DNA
Quando si parla di caffè, o meglio, della quantità che ne consumiamo quotidianamente, probabilmente tutti siamo portati a pensare che il gusto di assaporarne due, tre o più tazzine al giorno dipenda sostanzialmente dalle proprie abitudini. E invece, ciò che fa la differenza nella propensione personale verso il caffè è qualcosa di scritto nel nostro DNA: potrebbe sembrare strano, ma la quantità di caffè che beviamo ogni giorno è infatti strettamente legata al nostro patrimonio genetico.
“In altre parole, le particolari varianti genetiche che ereditiamo dai nostri genitori influenzano la quantità di caffè che probabilmente consumeremo” spiega la dottoressa Sandra Sanchez-Roige dell’Università della California che, insieme ai colleghi, ha ricercato le regioni del genoma associate a maggiori o minori probabilità di bere caffè, per poi identificare quali sono i geni alla base del consumo della bevanda.
Dall’indagine, appena pubblicata sulla rivista Neuropsychopharmacology di Nature, è emerso che nel genoma ci sono almeno sette regioni associate a una più alta probabilità di consumare caffè, la maggior parte delle quali si trova all’interno di geni implicati in processi metabolici.
L’influenza della genetica sul consumo di caffè era però solo una delle domande a cui il team ha cercato di dare una risposta. “La seconda questione che volevamo affrontare è qualcosa che gli amanti della bevanda vogliono davvero sapere: bere caffè fa bene o male? È associato a effetti positivi sulla salute oppure no?” ha aggiunto Sanchez-Roige che, nell’ambito della ricerca, ha confrontato le caratteristiche genetiche del consumo di caffè ottenute dallo studio 23andMe condotto negli Stati Uniti (oltre 130.000 partecipanti) con il più ampio set di dati della UK Biobank, il database biomedico del Regno Unito, da cui sono state prese in esame le informazioni di 334mila persone.
“Il confronto ha tuttavia rivelato associazioni genetiche positive e coerenti tra il caffè ed esiti dannosi per la salute come l’obesità e l’uso di sostanze in entrambe le popolazioni – ha evidenziato Hayley Thorpe, autore principale dello studio e ricercatore della Western University, in Canada – . Ciò non significa che chi beve caffè farà uso di sostanze o svilupperà l’obesità, ma piuttosto che la predisposizione genetica al consumo di caffè è correlata in qualche modo a questi tratti”.
I risultati sono diventati più complicati quando gli studiosi hanno esaminato le condizioni psichiatriche. “Riguardo la genetica dell’ansia, del disturbo bipolare e della depressione – prosegue Thorpe – nel set di dati di 23andMe, queste condizioni erano correlate positivamente con la genetica dell’assunzione di caffè. Tuttavia, nella UK Biobank, abbiamo osservato lo schema opposto, in quanto abbiamo rilevato una correlazione negativa. Questo non era ciò che ci aspettavamo”.
Tali divergenze, dicono gli studiosi, potrebbero essere dovute a diverse ragioni, tra cui il modo in cui sono stati raccolte le informazioni sulle abitudini di consumo della bevanda e i diversi tipi di caffè. “Ad esempio, l’indagine 23andMe chiedeva: ‘Quante porzioni di caffè contenente caffeina consumi ogni giorno?’ mentre le persone dell’UK Biobank hanno risposto alla domanda ‘Quante tazzine di caffè bevi ogni giorno?’ includendo anche il caffè decaffeinato – ha fatto notare Sanchez-Roige – . Sappiamo anche che nel Regno Unito, generalmente, hanno una preferenza maggiore per il caffè istantaneo, mentre il caffè macinato è più preferito negli Stati Uniti”.
Combinare i due set di dati non si è quindi rivelata una buona idea per cercare di comprendere la relazione tra caffè e impatti sulla salute. D’altra parte, l’identificazione delle regioni del genoma correlate al maggior consumo di caffè si aggiunge alla letteratura esistente, confermando i risultati ottenuti in studi precedenti e fornendo ulteriori prove che la preferenza per il caffè si basa su differenze genetiche.