Quando potremo dire che la pandemia di Covid è davvero finita
Quando finirà la pandemia di Covid? E chi decide che è davvero finita? Dall’11 marzo 2020, un mercoledì che ha formalmente segnato il suo inizio con la dichiarazione ufficiale dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), ci interroghiamo sulla gravità e la diffusione globale dell’infezione da Sars-Cov-2, chiedendoci quando tutto questo terminerà. Quando torneremo alla normalità e, soprattutto, quando non dovremo più temere di essere contagiati. Da quell’annuncio ad oggi, secondo anniversario della pandemia, abbiamo sviluppato armi in grado di proteggerci dal Covid-19, tra vaccini, farmaci antivirali e anticorpi monoclonali, e capito che davanti a un virus che si trasmette principalmente per via respiratoria, indossare le mascherine è fondamentale. Nonostante tutto, la circolazione del virus non è ancora sotto controllo, rendendo evidente che la pandemia non terminerà il 31 marzo 2022, il giorno che in Italia segnerà lo stop allo stato di emergenza.
Quando finirà la pandemia di Covid?
Anche se semplice, questa domanda ha una risposta complessa, perché tutto risiede nel significato che vogliamo attribuire alla parola fine, come termine di un qualcosa. Ma cosa? Se ci concentriamo infatti sulla fine medica della pandemia, che si realizza quando un virus viene eradicato, intendiamo che la malattia è completamente debellata. Se invece parliamo di fine sociale, che avviene quando si esaurisce la paura di essere contagiati, la fine della pandemia arriva non perché il virus è stato sconfitto, ma perché le persone mettono da parte il timore del contagio, imparando a convivere con il virus. Ci sono quindi due diverse conclusioni: la fine medica e la fine sociale.
La fine medica del Covid
Tra le grandi epidemie del passato che hanno raggiunto una fine medica, c’è solo quella vaiolo umano, scomparso nel 1980 per diversi motivi: innanzitutto perché esiste un vaccino efficace, che offre protezione per tutta la vita, e poi perché il virus del vaiolo, il Variola virus, non ha un ospite animale oltre l’uomo, per cui la copertura vaccinale ha permesso di eradicare il vaiolo e debellarlo completamente. Enormi passi in avanti sono stati fatti anche per la poliomielite, contro cui l’aumento e il mantenimento di elevate coperture vaccinali costituisce anche in questo caso l’unico strumento di eradicazione a livello globale, sempre perché il virus, che esiste in tre sierotipi distinti, ha nell’uomo il suo unico ospite, per cui può essere eliminato se non ci sono più casi umani per un periodo sufficiente.
Con queste premesse, pensare a una fine medica del Covid è quindi difficile, non solo perché l’immunità conferita dagli attuali vaccini o dall’infezione non assicura una protezione completa dal contagio, ma perché oltre l’uomo, Sars-Cov-2 ha dimostrato di poter infettare efficacemente altre specie animali, ovvero di essere in grado di fare il cosiddetto spillover. Oltre ad avere una caratteristica più pericolosa di virus come quelli del vaiolo e della poliomielite, ovvero di contagiare senza necessariamente provocare una malattia sintomatica: non essendo dunque la sua diagnosi clinica sempre evidente, la probabilità di essere trasmesso è molto più alta. Ciò non toglie che il virus possa andare incontro a mutazioni verso forme meno pericolose, ma in questa fase non è possibile prevedere che segua necessariamente questa strada evolutiva.
La fine sociale del Covid
La conclusione della pandemia può dunque non corrispondere necessariamente all’eradicazione del virus, o al calo dell’incidenza di infezioni e della mortalità, ma la sua fine può realizzarsi a livello sociale quando si esaurisce il timore del contagio, perché ad esempio sono stati trovati gli strumenti efficaci per curare l’infezione. Secondo diversi analisti, nel caso del Covid è questo lo scenario più probabile, ed è già quello che osserviamo oggi in diversi Paesi, ovvero una popolazione che sta imparando a convivere con il virus.
Del resto è andata così anche per la pandemia di peste che ha colpito più volte nel corso di duemila anni. La malattia, causata da un ceppo di batteri, lo Yersinia pestis, non è mai andata via e, ancora oggi, in alcune regioni degli Stati Uniti, le infezioni sono endemiche tra i cani che vivono nelle praterie nell’area sud-occidentale e possono colpire anche le persone. Si tratta di casi rari, di individui che per qualche motivo vengono morsi dalle pulci che trasportano il batterio, ma la malattia oggi può essere trattata con successo con gli antibiotici, per cui qualsiasi segnalazione di peste non suscita più paura.