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Primo maiale positivo all’influenza aviaria H5N1 negli USA: nuova pandemia “è solo questione di tempo”

Il Dipartimento dell’Agricoltura degli Stati Uniti (USDA) ha annunciato che nell’Oregon è stato trovato il primo maiale positivo al virus dell’influenza aviaria H5N1 ad alta patogenicità. Il caso a pochi mesi dalle prime mucche da latte. Il suino sarebbe stato infettato dal pollame. Sempre più specie vengono contagiate dal virus, aumentando sensibilmente il rischio di una nuova pandemia.
A cura di Andrea Centini
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Per la prima volta un maiale è risultato positivo al virus dell'influenza aviaria ad alta patogenicità (HPAI) H5N1 negli Stati Uniti. Il suino viveva in una fattoria della contea di Crook (Oregon) nella quale erano presenti diversi polli infetti. Come spiegato in un comunicato stampa dal Servizio di ispezione sanitaria degli animali e delle piante del Dipartimento dell'Agricoltura degli Stati Uniti (USDA), il bestiame e il pollame contagiati “condividevano alloggi, attrezzature e fonti d'acqua”, una situazione che in passato “aveva consentito la trasmissione del virus H5N1 tra le specie”. Alla luce di queste premesse, si ritiene che il patogeno sia stato trasmesso al maiale dai polli.

La prima positività di un suino negli USA giunge a pochi mesi dai casi di infezione registrati nelle mucche da latte, un evento che ha suscitato un certo clamore nella comunità scientifica. Come spiegato a Fanpage.it dalla virologa Ilaria Capua, infatti, i ricercatori ritenevano che i bovini fossero protetti dal virus dell'influenza aviaria. Evidentemente non era così e sempre più specie animali continuano a essere contagiate dal patogeno. Attualmente si ritiene che questo virus non sia “bravo” a infettare le cellule umane, tenendo presente che è stato isolato per la prima volta nel 1996 in Cina nell'essere umano e da allora ha dato vita a poco meno di un migliaio di casi documentati.

Il problema principale risiede nel fatto che dal 2021 il virus H5N1 ha iniziato a diffondersi in maniera spaventosa in tutto il mondo, in particolar modo tra le colonie di uccelli domestici e selvatici, portando alla morte centinaia di milioni di esemplari (uccisi dalla malattia o soppressi per evitare la diffusione). Da allora il virus ha compiuto lo spillover in numerosissime specie di animali selvatici – compresi tanti mammiferi – e ha dato vita a quella che i virologi chiamano “panzoozia”, una pandemia globale che riguarda animali non umani. Recentemente è stato trovato morto anche il primo orso polare a causa dell'aviaria. La circolazione così massiccia del patogeno tra gli altri animali, oltre a rappresentare un gravissimo problema per l'ambiente e la sopravvivenza stessa di alcune specie, può innescare mutazioni in grado di facilitare l'infezione nell'essere umano, col rischio di una nuova, devastante pandemia.

Robert Redfield, virologo ed ex direttore dei Centri per il controllo e la prevenzione delle malattie (CDC) degli USA, ha affermato che una pandemia di influenza aviaria H5N1 nell'uomo non è una questione di se, ma di quando. L'aspetto più inquietante risiede nel fatto che la mortalità potrebbe attestarsi tra il 25 e il 50 percento, mostruosamente più alta della COVID-19 innescata dal coronovirus SARS-CoV-2. Andremmo incontro a una vera e propria ecatombe. Il fatto che sempre più animali da allevamento continuano a risultare positivi non è un segnale promettente anche per la maggiore vicinanza con gli esseri umani; sono diversi gli allevatori contagiati dalle mucche da latte risultate positive, fortunatamente con sintomi non gravi. Va molto peggio ai gatti, nei quali la mortalità è prossima al 70 percento.

Per quanto concerne il caso nei suini dell'Oregon, l'USDA ha affermato di aver soppresso tutti e cinque i maiali della fattoria a scopo precauzionale e per indagini più approfondite; uno è risultato positivo, due negativi e per altri due si attendono ancora i risultati. L'esemplare contagiato non manifestava comunque i sintomi della malattia. Altri animali della fattoria – che non era destinata al commercio della carne – come pecore e capre sono stati posti sotto stretta sorveglianza per valutare l'emersione di eventuali infezioni. La struttura è stata chiusa per ragioni di biosicurezza. “Le autorità sanitarie pubbliche locali, l'autorità sanitaria dell'Oregon, i veterinari dello Stato dell'Oregon, il Dipartimento dell'agricoltura dell'Oregon, nonché il Dipartimento dell'Agricoltura degli Stati Uniti e il Dipartimento della salute e dei servizi umani degli Stati Uniti stanno coordinando questa indagine e forniranno ulteriori aggiornamenti non appena saranno disponibili”, spiega l'USDA in una nota.

Si attende il sequenziamento del genoma virale per verificare la presenza di mutazioni nel virus che possano renderlo più pericoloso per l'uomo. Fortunatamente, quello sui campioni di polli positivi della stessa fattoria condotto dai Laboratori nazionali dei servizi veterinari (NVSL) è incoraggiante: “Non ha individuato alcuna modifica al virus H5N1 che suggerirebbe all'USDA e al CDC una sua maggiore trasmissibilità agli esseri umani”. Pertanto si ritiene che al momento il rischio per la popolazione generale resti basso. Ma come indicato, per alcuni virologi è solo questione di tempo prima che avvenga lo spillover di un ceppo altamente contagioso anche per noi, evoluzione probabile connessa al metodo di replicazione del virus e alla sua diffusione planetaria.

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