Primo caso in Italia di influenza aviaria in un gatto, l’epidemiologo Rezza spiega i rischi per l’uomo
Venerdì scorso a Valamoggia, in provincia di Bologna, è stato segnalato il primo caso di influenza aviaria in un gatto in Italia. La notizia ha destato un certo allarme, anche a fronte delle numerose segnalazioni di felini positivi al virus dell'influenza aviaria H5N1 ad alta patogenicità (HPAI) negli Stati Uniti. Proprio la settimana scorsa l'autorità sanitaria della California ha confermato alcuni casi anche in gatti domestici che avevano consumato latte crudo contaminato o cibo per animali a base di carne cruda.
Tuttavia, tra il caso italiano e quelli segnalati negli Stati Uniti ci sono differenze rilevanti. La causa dell'infezione del gatto positivo in provincia di Bologna è infatti nota: si tratta – spiega una nota della Regione Emilia-Romagna – di un animale che viveva a stretto contatto con un piccolo allevamento di pollame in cui era già stata individuata l’infezione aviaria.
Primo caso di infezione in un felino: cosa sappiamo
Il direttore dell'Unità Operativa di Malattie Infettive del Policlinico Sant'Orsola di Bologna, Pierluigi Viale, ha spiegato che dato il contesto del caso, questo non rappresenta "nessuna novità e nessun allarme". Tuttavia, il tema resta caldo: da mesi ormai si parla del rischio di un nuovo salto di specie che possa rendere possibile il contagio tra uomo a uomo, dopo che il virus si è dimostrato capace di infettare non più solo i volatili, ma anche diverse specie di mammiferi. Negli Stati Uniti molti allevamenti di bovini sono diventati focolai del virus e ci sono stati anche i primi casi di infezione nell'uomo (ma sempre di persone esposte a bovini infetti).
È vero che la situazione in Europa è meno preoccupante, in quanto i virus dell'influenza aviaria sono presenti ma infettano per lo più le popolazioni di uccelli selvatici e non è stato registrato finora nessun caso di infezione nell'uomo. Tuttavia, secondo le principali autorità sanitarie europee, nuove mutazioni del virus potrebbe rendere possibile una trasmissione su larga scala anche tra gli uomini.
"Notizia non trascurabile, ma prevedibile"
Come leggere quindi la notizia in questo contesto? Fanpage.it ha posto la domanda al Prof. Giovanni Rezza, docente di Igiene all’Università Vita-Salute San Raffaele di Milano ed ex direttore generale della Prevenzione sanitaria del Ministero della Salute durante la pandemia di Covid-19.
"Questo caso conferma che i felini, e quindi i gatti, possono infettarsi quando vengono in contatto con volatili infetti. Nello specifico, i gatti hanno più possibilità di entrare in contatto con i volatili, sia selvatici che di allevamento. Tuttavia, finora la trasmissione da felino a uomo non è stata mai documentata in nessuna parte del mondo, quindi questa notizia non modifica molto il rischio globale, anche perché il virus non è una novità, ormai circola da più di venti anni", ha spiegato Rezza.
A differenza di quanto sta accadendo negli Stati Uniti, inoltre, in Italia non ci sono stati casi di infezione all'interno di allevamenti di bovini da latte. Rispetto a questa possibilità, "diversamente da altri Paesi, in Italia – rassicura l'esperto – la sanità animale è stata sempre sotto lo stesso ombrello della sanità umana, all'interno del Ministero della Salute, quindi abbiamo un elevato grado di sorveglianza, che garantisce l'identificazione precoce di eventuali nuovi casi".
Cosa sappiamo sul rischio di una nuova pandemia
Una delle preoccupazioni maggiori riguarda il rischio di contagio per l'uomo, a causa dell'accumularsi di nuove possibili mutazioni, le stesse che già hanno reso possibile la trasmissione a diversi mammiferi, tra cui, per ultimi, i gatti: "Negli Stati Uniti – chiarisce l'epidemiologo – il virus ha creato maggiore allarme e diversi casi umani perché i bovini sono animali con cui gli uomini entrano spesso in contatto. Tuttavia, il virus non ha ancora mostrato la capacità di trasmettersi efficacemente da persona a persona. Chiaramente, di fronte a questo allargamento della diffusione a diverse specie, qualcuno può temere che i prossimi saranno gli uomini, ma non possiamo dire con certezza che sarà proprio il virus H5N1 a causare la prossima pandemia, se mai si verificherà".
Il rischio di nuove mutazioni è quindi reale, ma allo stesso tempo rappresenta un'incognita da più punti di vista, anche rispetto ai suoi possibili effetti sull'uomo. "Oggi, il virus H5N1 ha un'affinità per alcuni recettori che si trovano in profondità nell'apparato respiratorio o sulla congiuntiva, la membrana interna della palpebra, ma ne ha poca con i recettori che si trovano nelle vie respiratorie alte, ovvero nella gola, quelli a cui si legano i virus delle comuni influenze stagionali. Per questo motivo, in caso di infezione nell'uomo, il virus può causare delle banali congiuntiviti oppure, più raramente, delle polmoniti, a volte anche gravi".
Tuttavia, "qualora si adattasse all'uomo e cominciasse a diffondersi da persona a persona, vorrebbe dire che è mutato e ha sviluppato una maggiore adattabilità ai recettori situati all'altezza della gola. Ma a quel punto non è detto che conserverebbe le stesse caratteristiche. Quando si parla del rischio di un nuova pandemia, possiamo farlo solo in termini ipotetici, perché nessuno può prevedere se H5N1 diventerà un virus pandemico. Non possiamo escluderlo, ma non possiamo nemmeno affermarlo con certezza".