Primo caso di influenza aviaria in un bambino negli Stati Uniti, Bassetti: “Attenzione al latte crudo”
Ormai da mesi negli Stati Uniti è alta l'attenzione sul virus dell'influenza aviaria A(H5N1) ad alta patogenicità (HPAI), soprattutto negli allevamenti dell'industria lattiero-casearia, dopo che i primi casi di contagio del virus nell'uomo sono stati segnalati tra gli operatori del settore. In questa intervista a Fanpage.it il professore Giovanni Rezza ha spiegato cosa rischiamo in caso di contagio da uomo a uomo. Negli ultimi giorni però i timori per nuovi possibili casi di infezione nell'uomo sono aumentati per l'effetto di due notizie arrivate a distanza di pochi giorni l'una dall'altra.
Dopo aver confermato il primo caso di infezione in un bambino – che ora si sta riprendendo dalla malattia -, i Centers for Disease Control and Prevention (Cdc) della California hanno avvertito consumatori ed esercenti della presenza del virus in un lotto di latte crudo di una famosa azienda californiana specializzata in questo genere di prodotti. Nonostante la coincidenza temporale, è bene specificare che sulle cause dell'esposizione del bambino al virus dell'aviaria sono ancora in corso le indagini sanitarie e non è stato confermato nessun collegamento tra le due notizie.
I rischi del latte crudo
Tuttavia, al di là del caso specifico, i potenziali rischi per la salute del latte crudo, ovvero non pastorizzato e quindi non soggetto a nessun tipo di trattamento termico, sono noti da tempo, tanto che in Italia, sebbene la vendita diretta di questo prodotto sia consentita, tutta la trafila di produzione è soggetta a rigidi controlli ed è ammessa solo la vendita diretta dal produttore al consumatore o attraverso le macchine erogatrici installate dall'azienda stessa.
Inoltre, dopo i casi di infezione da Escherichia coli 0157 e Escherichia coli produttori di verocitotossina (VTEC) – spiega il portale dell'Istituto Superiore di Sanità (Iss) – nel 2008 è stato introdotto l'obbligo di riportare sui distributori di latte crudo la dicitura, che deve essere chiaramente visibile: "Prodotto da consumarsi solo dopo bollitura”. Nonostante queste accortezze, il tema resta comunque molto dibattuto, proprio per i rischi legati al consumo di questo prodotto.
Latte crudo e rischio aviaria
Nello specifico, per quanto riguarda i rischi legati al virus dell'influenza aviaria A(H5N1) ad alta patogenicità (HPAI) e il consumo di latte crudo, infatti, quest'ultimo è stato trovato nel latte delle mucche allevate in diversi stabilimenti degli Stati Uniti. Inoltre, uno studio pubblicato qualche mese fa sul New England Journal ha confermato che l'ipotesi secondo cui il latte crudo possa veicolare il virus anche altri animali, verosimilmente quindi anche all'uomo. Negli stessi allevamenti è stato registrato un anomalo numero di gatti morti.
Le dichiarazioni di Bassetti
In queste ore, su questo argomento si sono espressi anche diversi esperti in Italia. Tra questi, Matteo Bassetti, direttore del reparto di Malattie infettive dell'ospedale policlinico San Martino di Genova ha spiegato all'Adnkronos il rischi legati al consumo di latte non pastorizzato: "È evidente che in Usa, con la situazione dell'aviaria che c'è, il latte crudo non dovrebbe essere né venduto né consumato".
Come altri esperti, anche Bassetti ha raccomandato a chiunque si rechi negli Stati Uniti, adulti e bambini di consumare solo late pastorizzato e i suoi derivati. I bambini soprattutto – ha specificato l'infettivologo – "hanno un sistema immunitario non performante come quello degli adulti". Bassetti ha aggiunto che questa raccomandazione vale ovunque, sebbene attualmente l'allarme per l'aviaria riguardi soprattutto gli Stati Uniti, come ha ricordato all'agenzia di stampa il direttore scientifico della Società italiana di malattie infettive e tropicali (Simit), Massimo Andreoni, specificando che in Italia non sono stati registrati finora casi di infezione H5N1 negli allevamenti di bovini.
A ogni modo, "si deve lavorare – ha concluso Bassetti – perché tutto il latte venga pastorizzato: è un processo che facciamo da 200 anni e rende il latte privo di rischi batteriologici e virali perché abbatte la carica microbica".