Primi decessi per febbre Oropouche, Pregliasco spiega i rischi In Italia: “Dobbiamo monitorare”
Dopo mesi di costante aumento dei casi di febbre Oropouche in America centrale e meridionale, dal Brasile è arrivata la notizia dei primi due decessi causati da questa malattia. La febbre Oropouche, come la dengue, è causata da un arbovirus che viene trasmesso all'uomo tramite il morso di un piccolo moscerino e alcune zanzare. Qui abbiamo spiegato cos'è, quali sono i vettori in grado di trasmetterla e dov'è diffusa.
La notizia ha creato un certo allarme, soprattutto nei paesi in cui la febbre Oropouche, almeno fino a qualche mese fa, era del tutto sconosciuta. In Italia se ne è iniziato a parlare a metà giugno, quando è stato confermato il primo caso di infezione in Veneto, a cui nell'arco di un mese ne sono seguiti altri tre, di cui due in Lombardia: fortunatamente si è trattato in tutte e quattro le volte di casi di importazione, che non hanno avuto conseguenze gravi.
Il punto sulla situazione
Intanto, l'Organizzazione panamericana della sanità (Paho), che già a inizio anno aveva diffuso un allarme epidemiologico dato l'aumento dei casi in diversi paesi, tra cui Brasile, Perù, Bolivia e Colombia, ha fatto un punto sulla malattia, i rischi e le modalità di trasmissione.
Secondo quanto comunicato dalla Paho le due morti appena confermate in Brasile sarebbero le prime mai registrate al mondo, a fronte di un quadro epidemiologico che mostra un aumento esponenziale dei casi di febbre Oropouche nell'America meridionale e centrale. Bastano questi due numeri per rendere l'idea: nel 2023 sono stati registrati 823 casi, dall'inizio del 2024 a oggi ne sono stati confermati più di 7.700 in cinque paesi: Brasile, Perù, Colombia, Perù e Cuba.
I rischi per l'Italia
Per quanto riguarda la situazione in Italia, dove i vettori in grado di diffondere il virus – il moscerino Culicoides paraensis e alcune zanzare – sono assenti, l'Istituto Superiore di Sanità ha diffuso un vademecum su tutto quello che c'è da sapere. A Fanpage.it Fabrizio Pregliasco, direttore sanitario dell’IRCCS Galeazzi, ha spiegato se ci sono e quali sono i rischi effettivi per l'Italia.
Come dobbiamo interpretare la notizia dei primi due decessi dovuti alla febbre Oropouche?
In questo momento sappiamo che solo in Brasile dall'inizio dell'anno sono stati segnalati più di 7.000 casi. È vero che nella maggior parte dei casi il virus Oropouche produce una sintomatologia simile a quella della febbre Dengue, si tratta di sintomi molto aspecifici e generici, con sintomi come febbre, vomito e dolori muscolare, ma c'è un ridotto numero di casi in cui può determinare una forma di meningite. I due decessi registrati in Brasile molto probabilmente rientrano in questa casistica.
Non significa quindi che la malattia è più aggressiva?
Se consideriamo quanto la malattia sia diffusa oggi – anche perché i dati ufficiali sono sicuramente sottostimati rispetto a quelli reali – non è così assurdo pensare che qualche caso possa rientrare in quella piccola, ma comunque esistente, percentuale di casi gravi.
Come mai in questi ultimi mesi i casi in Brasile sono aumentati in modo così esponenziale?
La rapida diffusione del virus a cui stiamo assistendo è la diretta conseguenza di una presenza incontrollata delle zanzare e degli altri vettori che trasmettono il virus. Questo a sua volta è dovuto a una gestione poco efficace del territorio, soprattutto in alcune aree più soggette al degrado e abbandonate a sé stesse.
In Italia stiamo correndo dei rischi?
Anche se oggi il principale vettore del virus Oropouche, il Culicoides paraensis, non è presente in Italia, non abbiamo la certezza che non arriverà mai. Già è successo con altri insetti, come alcune specie di zanzara, in origine non autoctone, ma ora presenti in Italia, trasportate molto probabilmente attraverso i viaggi intercontinentali. È un'eventualità possibile.
Se succede, rischiamo di ritrovarci in una epidemia?
Credo e spero che in Italia, anche per effetto del Covid-19, abbiamo sviluppato un'attenzione e una sensibilità a raccogliere informazioni di tipo epidemiologico tali che ci permetteranno in ogni caso di limitare la presenza dei vettori in grado di trasmette questa malattia. In definitiva, stando così le cose, possiamo affermare che il rischio di diffusione in Italia e in Europa è basso e presumibilmente contenibile anche in presenza di casi di importazione.