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Olimpiadi Parigi 2024

Perché un quarto posto a volte vale più dell’oro: le risposte della psicologa dello sport

Alle Olimpiadi di Parigi 2024 diversi atleti italiani hanno gioito dei loro quarti posti, creando un accesso dibattito tra chi li ha criticati e chi ne ha elogiato la maturità. A Fanpage.it la psicologa dello sport, Flavia Sferragatta, che ha preparato la nazionale femminile di pallanuoto per le Olimpiadi di Rio de Janeiro nel 2016, ha spiegato come un atleta si prepara ad affrontare vittorie e sconfitte.
Intervista a Dott.ssa Flavia Sferragatta
Psicologa dello sport
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Benedetta Pilato alle Olimpiadi di Parigi 2024
Benedetta Pilato alle Olimpiadi di Parigi 2024
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Tutto è iniziato con le lacrime di gioia – lo ha assicurato lei – di Benedetta Pilato a bordo di quella piscina da cui è uscita con un quarto posto nei 100m rana, fuori dal podio per un centesimo di secondo. "È il giorno più bello della mia vita" ha detto la nuotatrice tarantina alla giornalista Rai Elisabetta Caporale, che incredula le diceva: "Ma veramente? Tutti noi ti immaginavamo sul podio".

È scoppiata così la prima, grande polemica sulle Olimpiadi di Parigi 2024 (la seconda è partita dalle fake news sull'identità sessuale della pugile algerina mane Khelif). Da una parte l'incredulità di alcuni commentatori o sportivi delle precedenti generazioni – hanno fatto molto discutere le parole offensive della schermitrice Elisa Di Francisca – dall'altra le parole e i video, a centinaia, di chi ha difeso Pilato, anzi ne ha elogiato la maturità. "Finalmente una generazione di sportivi che rompe con il mito malato del successo a tutti i costi", hanno scritto e detto in tanti.

In realtà, il concetto di sconfitta è molto labile e perdere non significa sempre fallire. Dipende da molti fattori, tra cui il proprio livello di preparazione e i propri obiettivi. Fanpage.it ha chiesto alla psicologa dello sport, Flavia Sferragatta, che ha preparato la nazionale femminile di pallanuoto per le Olimpiadi di Rio de Janeiro nel 2016, in quali condizioni e come una sconfitta può essere un successo per un atleta.

Quando un atleta si rivolge a uno psicologo dello sport?

La domanda del supporto psicologico da parte di un atleta può arrivare in qualsiasi momento. Ancora oggi l’approccio prevalente è quello di iniziare un percorso quando l’atleta deve affrontare una competizione importante, come appunto le Olimpiadi, o quando si trova davanti a un ostacolo o sta attraversando un momento difficile.

Certo, l’ideale sarebbe iniziare un percorso duraturo che accompagni l’atleta e non ricorrere allo psicologo solo nei momenti di bisogno: i risultati migliori si ottengono con un percorso di supporto a lungo termine.

Cosa fa lo psicologo dello sport?

Prima di lavorare con l’atleta, lo psicologo dello sport lavora con la persona. Spesso da fuori dimentichiamo che gli atleti non sono solo degli sportivi. Sono delle persone con la loro vita. Certo lo sport ne è una parte fondamentale, ma non è l’unica. Ed è importante per loro imparare a inserire la loro identità di atleti all’interno della loro più ampia identità di persone.

Lei ha accompagnato le atlete della nazionale di pallanuoto femminile alle Olimpiadi del 2016. A livello psicologico quali sono le difficoltà maggiori che gli atleti devono affrontare in un evento così importante?

Non parlerei di “difficoltà”. Noi in psicologia dello sport parliamo di “abilità mentali”, ovvero quelle capacità che sono state riconosciute dalla comunità scientifica come fondamentali per la prestazione sportiva. Tra queste ci sono la gestione dello stress e delle emozioni, ma anche la concentrazione, la capacità di focalizzare l'attenzione nei momenti cruciali, il controllo dei pensieri e delle immagini mentali o la formulazione degli obiettivi. Ovviamente questo lavoro non è uguale per tutti, ma viene cucito addosso al singolo atleta o alle singole squadre, in base ai bisogni e alle esigenze individuali.

Le Olimpiadi sono un’altalena di emozioni. A guardarle alla tv sembrano davvero intense. Come le vivono gli atleti?

Non lo sembrano soltanto, le Olimpiadi sono intense e difficili per gli atleti. Sono un momento assolutamente entusiasmante nella carriera di un atleta, ma rappresentano anche un momento difficile e complesso, che va gestito con molta attenzione.

In quei giorni un atleta può sperimentare un vortice di emozioni: gioia, esaltazione, soddisfazione, ma anche delusione, senso di oppressione, tristezza. Tutto nell’arco di pochi giorni e sotto gli occhi del mondo intero. Le Olimpiadi sono un evento unico nella carriera di un atleta.

Come riescono gli atleti ad affrontarle?

Quello che noi psicologi dello sport cerchiamo di fare è aiutare gli atleti ad accettare e vivere a pieno queste emozioni, senza provare ad allontanarle o reprimerle. Non è sano negare l’eccezionale di questo evento, convincendosi che le Olimpiadi siano una competizione come un’altra. Meglio accettarle e viverle per l’evento eccezionale e pervasivo che sono.

Lo sport è fatto di vittorie e di sconfitte. Di punti a segno e di punti subiti. Come si fa a passare da uno all’altro senza perdere la concentrazione?

Anche se non tutti gli atleti hanno la possibilità di partecipare a più competizioni all’interno delle stesse Olimpiadi, tutti devono saper gestire e riprendersi dopo un errore o un punto subito. Faccio l’esempio dello sport di cui mi sono occupata, la pallanuoto, chi fa questo sport deve sapere rimettersi in gioco anche dopo aver subito una rete, e questo vale per molti altri sport.

Per questo è fondamentale lavorare sulla capacità di reagire all’errore e di resettare immediatamente per tornare subito pronti nell’azione successiva. Ecco perché con gli atleti da una parte lavoriamo sull’abilità di considerare ogni azione un momento a sé, distinto da quello precedente. Dall’alto è fondamentale maturare due consapevolezze. La prima: la prestazione perfetta generalmente è utopica. La seconda: non è necessario che una prestazione sia perfetta affinché sia una buona prestazione.

Se poi, nonostante tutti questi sforzi, la sconfitta arriva lo stesso, come si accetta?

Dipende dai motivi della sconfitta. Lo psicologo dello sport lavora con l’atleta per portarlo a misurare la sua prestazione confrontandola con se stesso, piuttosto che con gli avversari. Se un atleta non vince, ma ha fatto il risultato migliore possibile per le sue possibilità in quel preciso momento è diverso dal caso in cui perde facendo una prestazione inferiore alle sue possibilità.

Il punto in fondo è questo: ha senso giudicare ciò che dipende da noi e l’atleta ha il controllo soltanto sulla propria prestazione, non su quella degli avversari.

In queste Olimpiadi non sono mancate le polemiche. Una delle prime ha riguardato la felicità di Benedetta Pilato per un quarto posto nei 100 rana femminile. Lei ha detto di esserlo “visto il suo percorso”. È sano quindi ragionare in questo modo?

Assolutamente sì. Solo gli atleti e i loro allenatori conoscono davvero il proprio livello di preparazione e i risultati che possono ottenere, da dove sono partiti e dove sono arrivati. Essere soddisfatti del risultato conseguito in una competizione, anche qualora non coincida con il podio, dipende proprio da questo percorso di autoconsapevolezza, che è essa stessa una qualità fondamentale per lo sportivo.

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