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Perché sempre più persone soffrono di allergia ai pollini: cosa c’è nell’aria che respiriamo

Nel ultimi anni l’allergia primaverile sta diventando un problema sempre più diffuso e si prevede che nei prossimi anni le persone allergiche ai pollini saranno sempre di più. Quali sono le cause di questo fenomeno? L’allungarsi delle stagioni dei pollini in realtà è solo dei possibili fattori scatenanti.
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Siamo arrivati in quel periodo dell'anno in cui, per milioni di persone i fazzoletti diventano la prima cosa da portare con sé quando si esce fuori casa. No, nessun raffreddore: il colpevole sono le allergie primaverili. Soltanto in Italia riguardano dieci milioni di persone, un numero che, secondo gli esperti, è destinato ad aumentare nei prossimi anni. In parte, questo si deve all'allungarsi delle stagioni dei pollini – iniziano prima e finiscono più tardi – un fenomeno a sua volta conseguenza della crisi climatica, ma questo da solo non basta a spiegare cosa sta succedendo.

Il fenomeno riguarda praticamente tutti i Paesi industrializzati, dove, come spiega Fondazione Humanitas, negli ultimi cinque anni il numero delle persone con allergie primaverili è aumentato di circa il 5%. Inoltre, si sta progressivamente alzando l'età media di insorgenza. Fatto sta che oggi le allergie primaverili costituiscono la terza causa di patologie croniche, dopo l'osteoporosi e l'ipertensione. Ma perché sono sempre di più le persone che si ritrovano a fare i conti con i sintomi tipici delle allergie primaverili? Intanto vi lasciano qui un nostro approfondimento su sintomi e periodi delle allergie più comuni.

Aumento di temperature e inquinamento atmosferico

Gli esperti sono ormai d'accordo sul ruolo di alcuni fattori chiave. Uno di questi, come accennavamo prima, è il costante aumento delle temperature medie, che favorisce la produzione di pollini in più modi. Da una parte, la stagione inizia prima: come spiega la Società Italiana di Allergologia, Asma e Immunologia Clinica (SIAAIC), nel 2023 la stagione dei pollini è durata circa 45 giorni in più della media registrata negli ultimi anni: questo significa più pollini nell'ambiente per più tempo.

Sempre dalla crisi climatica dipende un altro possibile fattore responsabile dell'aumento delle allergie, ovvero l'inquinamento atmosferico. Non solo la presenza di CO2 e altri gas serra crea una sorta di barriera che intrappola il calore nell'atmosfera, favorendo la produzione di pollini, ma anche l'immissione nell'ambiente di inquinanti potrebbe aumentare il rischio di sviluppare allergie. Diversi studi hanno infatti evidenziato come, in alcune aree con elevati livelli di inquinamento, il polline tenda ad avere una maggiore concentrazione di allergeni. Ad esempio – spiega il Guardian – uno studio in Polonia sul polline di betulla, che interessa circa un quarto degli allergici nel Regno Unito, ha scoperto che il polline nelle aree inquinate aveva livelli più elevati di un allergene chiave: Bet v1.

Inoltre, la diffusione di specie invasive potrebbe aumentare la quantità di polline presente nell'aria. Ad esempio, è quello che è successo con l'ambrosia, una specie infestante che produce pollini allergenici per milioni di persone, in diversi Paesi d'Europa, tra cui alcune regioni dell'Italia.

Come l'inquinamento ci può rendere più vulnerabili

Inoltre, negli ultimi anni, negli ambienti accademici, sta perdendo piede l'ipotesi secondo cui il nostro stesso sistema immunitario, esposto costantemente a sostanze tossiche e inquinanti, possa diventare più vulnerabile ai pollini (e non solo). Gli scienziati la chiamano "ipotesi della barriera epiteliale", ovvero la teoria secondo cui crescere e vivere in aree molto inquinate potrebbe aumentare il rischio di sviluppare allergie al polline o sensibilità alimentari: secondo questa ipotesi, le sostanze inquinanti potrebbero, a lungo andare, indebolire le nostre cellule epiteliali, ovvero le cellule che rivestono le superfici esterne e interne del corpo attraverso uno strato protettivo chiamato "epitelio", che si trova non solo sulla pelle ma anche sulle mucose – comprese quelle delle vie respiratorie e e gli organi interni.

C'è anche un possibile terzo fattore chiave: l'aumento dei temporali sembra contribuire a innescare delle "epidemie di asma". Non è ancora chiaro il meccanismo alla base del collegamento, ma sembra che, come spiega il Guardian, i temporali favoriscano in qualche modo la "tempesta perfetta": da una parte il vento solleva e trasporta in aria il polline, dall'altra l'umidità potrebbe contribuire a frammentare il polline in particelle più piccole, così che possano entrare più profondamente nelle vie respiratorie.

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