Perché rischiamo un contagio di massa di vaiolo delle scimmie
Con l’Organizzazione Mondiale della Sanità che lo scorso 23 luglio ha dichiarato il vaiolo delle scimmie un’emergenza sanitaria pubblica di interesse internazionale (PHEIC), sono in tanti a sperare che il massimo livello di allerta dell’Agenzia delle Nazioni Unite possa servire da campanello di allarme per impedire che il virus possa prendere piede a livello globale. Il timore è che il virus, già endemico in vari Stati dell’Africa occidentale e centrale – dove si nasconde nei piccoli roditori (ad esempio negli scoiattoli delle foreste pluviali africane) che possono trasmetterlo all’uomo – finisca per insediarsi in serbatoi animali in altre parti del mondo, da cui gli esseri umani potrebbero essere infettati ripetutamente. Come noto, la trasmissione da persona a persona non è esclusa, avvenendo soprattutto attraverso il contatto con fluidi corporei (come l’essudato delle lesioni, ma anche le goccioline salivari o respiratorie) oppure oggetti contaminati, ma il rischio che il virus possa diffondersi dagli esseri umani agli animali anche al di fuori dall’Africa renderebbe la sua eradicazione un compito decisamente più complesso.
In tal senso, la finestra temporale per contenere l’epidemia globale si sta rapidamente chiudendo. I casi di vaiolo delle scimmie nell’uomo sono in aumento in Germania, Spagna e negli Stati Uniti, mentre in Italia se ne contano più di 450 da quando, all’inizio di maggio, sono state segnalate le prime infezioni fuori dal Continente africano. Ad oggi, 2 agosto 2022, l’OMS riporta un totale di 23.351 casi confermati e 122 casi probabili, inclusi 8 decessi, principalmente ma non esclusivamente in uomini che hanno avuto recenti rapporti sessuali con uno o più uomini.
La maggior parte dei casi segnalati nelle ultime 4 settimane è stata registrata nella Regione Europea (59,7%) e nella Regione delle Americhe (38,5%). Nel dettaglio, i 10 Paesi più colpiti sono: Stati Uniti (5.175 casi), Spagna (4.298), Germania (2.677), Regno Unito (2.546), Francia (1.955), Brasile (1.369), Paesi Bassi (879), Canada (803), Portogallo (633) e Italia (479), che nell’insieme rappresentano l’89,1% dei casi segnalati a livello globale. Numeri che, con una migliore sorveglianza, accesso alla diagnostica e la continua diffusione dell’infezione, sono destinati ad aumentare. E che evidenziano la necessità di strumenti che permettano di controllare quanto sta accadendo, a partire da una strategia di vaccinazione internazionale completa. Le persone di età pari o inferiore ai 42 anni, che non hanno beneficiato della campagna di vaccinazione antivaiolosa conclusasi nel 1980, sono suscettibili al vaiolo delle scimmie (che appartiene alla stessa famiglia di virus del vaiolo umano) e questa mancanza di immunità di questa parte di popolazione rischia di alimentare ulteriormente la crescita dei casi.
Ignorare la situazione, sostenendo ad esempio che il problema sia solo dei giovani uomini che hanno rapporti intimi con partner maschili, significherebbe lasciare campo libero al virus di infettare non solo gli umani vulnerabili, ma di diffondersi a un’ampia varietà di mammiferi suscettibili, inclusi i primati non umani e, soprattutto, i roditori urbani, il che creerebbe un serbatoio permanente che andrebbe a perpetuare l’infezione nelle nostre città. Uno scenario che in Africa è una realtà già difficile da tollerare e che non dobbiamo assolutamente accettare abbia luogo anche a livello globale.