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Perché non dobbiamo avere paura degli squali nel Mediterraneo: sono loro a doverci temere

Un mare in salute è un mare con gli squali, perché questi pesci svolgono un preziosissimo ruolo nel mantenimento degli equilibri ecologici. Eppure continuiamo a temerli, nonostante si tratti di animali innocui nella stragrande maggioranza dei casi. Ecco perché non dobbiamo avere paura di quelli del Mar Mediterraneo.
A cura di Andrea Centini
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Una verdesca fotografata alle Azzorre. Specie comune nel Mar Mediterraneo. Credit: Diego Delso / Wikipedia
Una verdesca fotografata alle Azzorre. Specie comune nel Mar Mediterraneo. Credit: Diego Delso / Wikipedia

Se c'è un animale che riesce a incutere timore solo dal nome questo è indubbiamente lo squalo. E la colpa, lo sottolineiamo, non è assolutamente la sua. Molto del terrore irrazionale scaturito da questi pesci, dei quali ne esistono tra le 400 e le 500 specie (la maggior parte delle quali totalmente innocue), è infatti legato a prodotti di intrattenimento e alla narrazione distorta propinata dai media, che spesso li dipingono come nemici pubblici numero uno e mangiatori di uomini. “Spielberg, con il suo film, ha fatto un danno incredibile all’immagine degli squali”, ha dichiarato a Fanpage.it il professor Fabrizio Serena del Consiglio Nazionale delle Ricerche (CNR) di Mazara del Vallo e tra i massimi esperti di squali. Il riferimento è al bockbuster "Jaws" del 1975, Lo Squalo in Italia, nel quale il protagonista indiscusso è un grande squalo bianco (Carcharodon carcharias) che fa strage di ignari bagnanti attorno all'isola immaginaria di Amity (scegliere un luogo reale avrebbe infatti provocato un danno immenso al turismo).

Ma gli squali, compreso il meraviglioso carcarodonte, non sono assolutamente predatori di esseri umani. Anzi, molto probabilmente ci detestano proprio come “pietanza” e spesso gli attacchi si limitano ad assaggi per errori di identificazione, che servono a far capire all'animale con cosa ha a che fare. Nei luoghi esotici a essere colpiti sono soprattutto i surfisti, perché, quando sono sdraiati sulla tavola con braccia e gambe aperte, dal basso ricordano la silhouette delle foche; quelle sì prede reali per i selaci più voraci.

Raramente può anche capitare che uno squalo affamato possa divorare la sventurata vittima, ma gli attacchi letali nei confronti delle persone sono circa 10 all'anno, talvolta provocati o perché il bagnante si tuffa proprio non dovrebbe. Per fare un confronto, come riportato nella lista “World's Deadliest Animals” pubblicata sul blog di Bill Gates, gli ippopotami ne uccidono 500, i coccodrilli 1.000, i cani 25.000, i serpenti 50.000 e le zanzare ben 725.000 (e fra di noi ci ammazziamo in circa mezzo milione ogni anno). Come affermato al Guardian dalla dottoressa Hannah Rudd, biologa marina presso lo Shark Hub UK e tra i responsabili dell'Angling Trust, è più probabile rimanere uccisi mentre si scatta un selfie col telefono che essere divorati da uno squalo.

Eppure, nonostante il numero limitato di attacchi e il generale disinteresse di questi splendidi pesci nei nostri confronti, ogni avvistamento lungo le coste viene trasformato in un'ondata di articoli allarmistici, spesso accompagnati da immagini di fughe disperate dalle spiagge. E non sta nemmeno aumentando il numero di questi animali (anzi), nonostante il susseguirsi di articoli e post sui social network dedicati loro. Certo, come affermato dalla dottoressa Rudd, gli squali preferiscono le acque più fresche e il cambiamento climatico potrebbe spingerli a frequentare aree diverse – il Mar Mediterraneo e l'Atlantico settentrionale stanno toccando temperature record da tempo –, ma il numero maggiore di avvistamenti dipende da altri fattori. Il principale è che tutti noi oggi disponiamo di un telefono con la fotocamera e siamo connessi attraverso i social network con il mondo intero; un video registrato lungo la costa di una spiaggia qualsiasi può diventare rapidamente virale se il protagonista è uno squalo; da qui può nascere la percezione dell'aumento degli avvistamenti. Semplicemente perché ne vediamo di più. Ma questi animali ci sono sempre stati. Come sottolineato dal professor Serena, non siamo assolutamente innanzi a un aumento degli esemplari: “Si tratta di una situazione strettamente correlata al periodo estivo e alla maggiore frequentazione delle spiagge, che aumenta le probabilità di vedere squali che nuotano liberamente nelle acque. Non c’è niente di strano”.

In realtà poter ammirare questi animali nel proprio ambiente naturale è una fortuna, un privilegio e un ottimo segnale per la salute del mare che frequentiamo: “Questi avvistamenti sono un aspetto molto positivo – sia perché indicatori di buona qualità ambientale, sia perché sono un segnale di ripresa da parte della popolazione, minacciata da catture accidentali e dal fenomeno del finning, lo spinnamento degli squali, una pratica che comporta il taglio delle pinne ad animali ancora vivi che, fortunatamente, l’Europa ha bandito nei mari europei”, ha spiegato il professor Serena. Per comprendere l'impatto dello shark finning e della pesca accidentale, basti sapere in base alle stime dell'Unione Internazionale per la Conservazione della Natura (IUCN) ogni anno vengono uccisi dai 63 ai 273 milioni di squali in tutto il mondo, centinaia ogni 60 secondi.

Dagli anni '70 ad oggi la popolazione globale di questi pesci è crollata del 70 percento a causa dell'uomo e diverse specie sono ormai classificate in pericolo critico di estinzione. Sono gli squali a dover aver paura di noi, non noi di loro. Fra l'altro delle oltre 400 specie esistenti sentiamo parlare solo di una manciata, come i sopracitati squali bianchi, gli squali toro, i tigre, i mako, le verdesche (o squali blu) e altri talvolta altri coinvolti negli incidenti, spesso provocati. Ma nel Mar Mediterraneo nemmeno vivono quelli considerati potenzialmente più pericolosi per l'uomo, come lo squalo dello Zambesi in grado di risalire i fiumi e lo squalo longimano. Nella stragrande maggioranza dei casi gli squali sono innocui e anche quelli potenzialmente pericolosi generalmente non hanno il minimo interesse nei nostri confronti. Naturalmente questi pesci vanno rispettati come ogni animale selvatico e non vanno disturbati.

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