Perché non dobbiamo allarmarci per la nuova variante ricombinante XE del coronavirus
In base all'ultimo bollettino dell'Agenzia per la sicurezza sanitaria del Regno Unito (UKHSCA) sul suolo britannico sono stati registrati oltre 630 casi di XE, una variante ricombinante rilevata per la prima volta a gennaio di quest'anno. Al momento è stata rilevata in meno dell'1 percento dei campioni virali sequenziati da pazienti con COVID-19, pertanto potrebbe essere un fuoco di paglia, come accaduto per molteplici altre sottovarianti e ricombinanti del patogeno pandemico. Ciò nonostante sia l'ente britannico che l'Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) stanno monitorando attentamente XE, alla luce di un tasso di crescita – non ancora confermato – che potrebbe essere superiore a quello di BA.2, la variante invisibile “figlia” di Omicron responsabile della maggior parte degli attuali contagi.
La variante di preoccupazione Omicron (B.1.1.529), emersa in Sudafrica alla fine di novembre dello scorso anno, è nota per la sua eccezionale trasmissibilità, le capacità elusive nei confronti degli anticorpi neutralizzanti (sia quelli indotti da vaccini che da precedenti infezioni) e per il fatto che può determinare una malattia generalmente più lieve, un dato legato anche alla vaccinazione di massa e alla diffusa immunizzazione. Ma naturalmente non si è “adagiata sugli allori” e, a causa della notevole circolazione virale e della naturale tendenza dei virus a RNA a mutare agevolmente, ha dato vita a più sottovarianti. Le due principali sono la BA.1 e la BA.2, dalle quali è originata XE. Si tratta di una variante ricombinante poiché emersa in un paziente infettato contemporaneamente dai due ceppi principali di Omicron, come evidenziato dall'UKHSCA. “Le varianti ricombinanti non sono un evento insolito – ha spiegato professoressa Susan Hopkins, dirigente dell'ente britannico -, in particolare quando ci sono diverse varianti in circolazione e molte sono state identificate nel corso della pandemia fino ad oggi. Come con altri tipi di varianti, la maggior parte morirà in tempi relativamente brevi”.
Un dettaglio significativo di XE risiede nel suo tasso di crescita, che potrebbe essere di circa il 10 percento superiore di BA.2, come specificato anche dall'Organizzazione Mondiale della Sanità nell'ultimo bollettino “COVID-19 Weekly Epidemiological Update”. Si tratta comunque di un dato da confermare, anche alla luce delle fluttuazioni rilevate dall'UKHSCA. Qualora fosse confermato si tratterebbe di un'informazione piuttosto rilevante, dato che BA.2 è già del 75 percento più contagiosa di BA.1, il ceppo originale di Omicron, che a sua volta è molto più trasmissibile delle altre varianti che l'hanno preceduta.
Ciò tuttavia, non deve allarmare, perché più contagiosa non significa affatto più virulenta / aggressiva o più brava a “bucare” i vaccini. “È possibile che sia più trasmissibile, ma ciò non significa necessariamente che sia più grave”, ha spiegato alla ABCNews il dottor John Brownstein, epidemiologo presso il Boston Children's Hospital. “Dato il numero di infezioni che abbiamo già visto con Omicron, non è davvero chiaro se anche essere leggermente più trasmissibile significa che vedremo un qualsiasi impatto di questa variante”, ha aggiunto lo scienziato, riferendosi all'estrema diffusione della Omicron e dell'immunizzazione che sta comportando (di concerto con quella dei vaccini).
Il dottor Brownstein specifica che al momento non c'è davvero alcuna preoccupazione per la salute pubblica dovuta alla nuova variante. “Le varianti ricombinanti si verificano più e più volte. In effetti, il motivo per cui c'è una variante ricombinante XE è perché abbiamo già avuto XA, XB, XC, XD e nessuna di queste si è rivelata una vera preoccupazione”, ha chiosato l'esperto. Monitorarla è importante, ma come tutte le altre ricombinanti che l'hanno preceduta potrebbe non comportare alcun tipo di impatto nella gestione della pandemia.