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Perché l’odore non basta per capire se un cibo è ancora buono

La prova dell’olfatto può trarci in inganno, portandoci a consumare alimenti che ci espongono al rischio di intossicazione alimentare.
A cura di Valeria Aiello
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Sarà probabilmente capitato a tutti di aprire il frigorifero e ritrovarsi ad annusare uno o più cibi, sperando di trovare qualche prova del fatto che il tutto sia ancora buono da mangiare. Oppure qualche segnale che indichi che sia invece andato a male. Il test dell’odore, per quanto possa essere di aiuto in molti casi, potrebbe però non rivelarsi sufficiente a scongiurare il rischio di un’intossicazione alimentare. Sintomi gastrointestinali, come diarrea, nausea, vomito e dolori addominali, ma anche brividi, mal di testa e febbre, che si manifestano nelle ore successive all’ingestione degli alimenti possono essere tutti disturbi legati al consumo di cibo contaminato da microrganismi o tossine che, in alcuni casi, possono rivelarsi particolarmente pericolosi per la salute umana. E soprattutto, quasi impossibili da individuare attraverso l’esame olfattivo perché non hanno assolutamente alcun cattivo odore.

In altre parole, alcuni tipi di contaminazione possono non mostrare alcuna modifica organolettica degli alimenti, dunque non scatenare l’avversione che tutti noi proviamo quando un cattivo odore raggiunge i nostri recettori olfattivi. Quei cattivi odori si formano quando le popolazioni microbiche crescono e diventano abbondanti sui cibi, per effetto delle degradazione che i microbi operano sugli alimenti stessi. Tuttavia, come spiegato da Matthew Gilmour, direttore della rete di ricerca sulla sicurezza alimentare del Quadram Institute di Norwich, nel Regno Unito, alcuni microbi comunemente associati a malattie di origine alimentare, come Listeria e Salmonella, possono essere presenti in quantità così piccole che l’eventuale produzione di cattivo odore può rivelarsi del tutto impercettibile per il nostro naso.

Inoltreprecisa Gilmour in un articolo pubblicato su The Conversation – la Listeria (Listeria monocytogenes, una specie batterica che causa una tossinfezione alimentare chiamata listeriosi, per cui le autorità di sicurezza alimentare del Regno Unito hanno recentemente emesso un nuovo avviso di sicurezza associato al consumo di pesce affumicato a freddo, in particolare salmone, ndr) sarebbe indistinguibile dagli odori prodotti da specie microbiche più abbondanti, che sono comuni e spesso presenti nei nostri alimenti, e che non causano problemi di salute”.

Ciò significa che, sottolinea Gilmour, non c’è assolutamente alcuna possibilità che il nostro olfatto possa rilevare qualche accenno di Listeria nei cibi e, nello specifico, nel salmone affumicato, in cui l’odore dell’affumicatura ha il sopravvento su tutti gli altri. Ancora più bassa è la probabilità di sentire l’odore di Salmonella, magari su un pomodoro tirato fuori dal cassetto della frutta e verdura del frigorifero. “Anche se avessimo poteri superolfattivi per la Salmonella – evidenzia  l’esperto – questo agente patogeno potrebbe non essere mai stato presente sul pomodoro, ma probabilmente introdotto dall’acqua contaminata dell’azienda agricola mentre l’ortaggio cresceva, quindi non si trova sulla superficie del pomodoro ma all’interno dello stesso, il che rende doppiamente impossibile annusarlo”.

È però anche vero che annusando il cibo è possibile rilevare quando è avariato, un meccanismo che implica un’altra azione dei microbi che degradano gli alimenti che rimangono per troppo tempo o nelle condizioni di conservazione sbagliate. “Questo è uno dei motivi per cui un uso più appropriato dell’esame olfattivo è quello di individuare il latte avariato e contribuire così a limitare gli sprechi alimentari, piuttosto che buttare via latte che altrimenti potrebbe essere sicuro – aggiunge Gilmor – . Per altri alimenti (si pensi al contributo microbico dei formaggi più pregiati) essere maleodoranti è invece una caratteristica culinaria”.

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