Perché l’Italia chiede che la farina di insetti non sia usata per la produzione di pasta e pizza
Dopo il via libera alla commercializzazione delle farine di insetti (grillo, locusta, verme della farina e larva gialla) arrivato tre mesi fa dall’Unione europea, l’Italia affronta l’argomento con quattro decreti interministeriali su etichette, contenuti e modalità di vendita dei prodotti che le contengono, anche in piccola parte. L’attenzione è massima per quanto riguarda i prodotti tipici della dieta mediterranea, affinché queste farine – o meglio “polveri”, come rinominate nei decreti – non vengano utilizzate per la produzione di pasta e pizza. È infatti questo uno dei principali paletti previsti dal Governo, che punta a mettere in guardia i consumatori sull’uso di questi prodotti nei cibi della nostra tradizione. Per l’entrata in vigore, i decreti dovranno ricevere il via libera della Commissione Ue, che ha 90 giorni per dare il suo ok, e dopo la pubblicazione in Gazzetta ufficiale saranno subito operativi. Ma perché l’Italia chiede che i prodotti venduti sul territorio nazionale siano soggetti a una regolamentazione più stringente di quella di altri Paesi Ue?
Perché la farina di insetti sarà esclusa dalla produzione di pasta e pizza
La ragione per cui le norme italiane sull’uso e la vendita dei quattro diversi tipi di farine a base di insetti – la farina di grillo (Acheta domesticus), di larva Alphitobius diaperinus, di Tenebrio molitor (tarme) e di Locusta migratoria – saranno più stringenti di quelle di altri Paesi dell’Unione non è da ricercare nel timore della concorrenza con i prodotti della nostra dieta mediterranea, ma nella volontà del Governo di fornire un’informazione trasparente che, come spiegato dal ministro dell’Agricoltura Francesco Lollobrigida, firmatario dei quattro provvedimenti in concerto con i ministri della Salute, Orazio Schillaci, e del Made in Italy, Adolfo Urso, “specifichi in modo puntuale e visibile quali prodotti hanno derivazione da questi insetti”.
In tal senso, i quattro provvedimenti italiani (uno per ogni insetto), con regole, indicazioni e obblighi per l’uso e la commercializzazione delle “polveri” per l’alimentazione umana, prevedono scaffali separati nei negozi, segnalati con appositi cartelli, un’etichetta che specifichi (con caratteri leggibili) le percentuali di insetti o polvere contenute, anche se minime, nonché la loro provenienza e i pericoli connessi al consumo, con particolare riferimento alle eventuali reazioni allergiche, soprattutto nel caso della polvere di grillo, rischiosa per i soggetti allergici alla chitina, contenuta anche in altri alimenti (come i crostacei, ad esempio).
La chitina, nello specifico, è uno dei principali componenti dell’esoscheletro degli insetti, ma è presente anche in altri alimenti di consumo comune, come gamberi, aragoste e funghi. Questa sostanza, che dal punto di vista chimico è un polisaccaride come la cellulosa, non viene digerita dal nostro organismo, anche se ciò non significa automaticamente che al suo consumo siano collegati rischi per la salute. Nei soggetti allergici, tuttavia, la chitina può causare manifestazioni che variano da persona a persona e che possono andare dalle lievi irritazioni della cute al gonfiore di occhi, labbra, lingua e altre parti del corpo, fino al più pericoloso shock anafilattico, proprio come altre sostanze.
Un altro problema può invece riguardare il sovraconsumo, analogamente con quanto accade con altri cibi o bevande, così come l’esposizione prolungata e frequente, che può portare a una sensibilizzazione anche nei soggetti non allergici. A questi aspetti si aggiungono temi più strettamente culturali, legati alla nostra idea di cibo (i sondaggi indicano che meno di un italiano su tre sarebbe propenso a consumare alimenti contenenti farine di insetti) e alle proposte del Governo di candidare la “cucina italiana” come patrimonio dell’Umanità Unesco.
Al netto di tutto ciò, il consumo alimentare di insetti commestibili e prodotti derivati è considerato sicuro (in Africa, Asia e Sud America è molto diffuso da tempo) e rappresenta una valida alternativa sia dal punto di vista nutrizionale – sono un’ottima fonte di proteine ad alto valore biologico – sia dell’impatto ambientale in termini di sostenibilità degli allevamenti, che presentano un’alta efficienza di conversione nutrizionale – in media 2 kg di mangime producono 1 kg di massa negli insetti rispetto agli 8 kg di mangime per produrre 1 kg di peso corporeo nei bovini, secondo i dati FAO – , emettendo meno gas serra e ammoniaca rispetto al bestiame convenzionale.