Perché le ricerche di Karikó e Weissman sono state fondamentali per lo sviluppo dei vaccini Covid
Il riconoscimento è ufficiale: il Nobel 2023 per la Medicina, assegnato oggi ai ricercatori Katalin Karikó e Drew Weissman, ravvisa alle loro scoperte lo status di pietra miliare nell’uso terapeutico dell’RNA messaggero (mRNA): è infatti grazie alle loro intuizioni, raggiunte quindici anni prima dello scoppio della pandemia, che è stato possibile arrivare allo sviluppo dei vaccini a mRNA e, in particolare, alle formulazioni che ci hanno permesso di dichiarare la fine dell’emergenza Covid. In altre parole, l’uso dell’mRNA come molecola “esterna” in grado di veicolare informazioni alle nostre cellule non sarebbe stato possibile senza le ricerche della biologa ungherese Karikó e l’immunologo Weissman: è quindi a loro che si deve il superamento dei uno dei principali limiti dell’uso dell’mRNA come mezzo di terapia. Ecco quale.
L’mRNA dei vaccini Covid, l’applicazione resa possibile dai Nobel Karikó e Weissman
Dalla scoperta dell’RNA messaggero, datata 1961, per decenni gli scienziati di tutto il mondo hanno studiato questa molecola a singolo filamento, per il ruolo che svolge nelle nostre cellule: oggi sappiamo che l’mRNA è la molecola che, come un messaggero, porta le informazioni genetiche contenute nel DNA nei siti cellulari della sintesi proteica (ribosomi), dove il suo trascritto viene tradotto, dando vita alle proteine. Possiamo immaginarlo come un postino dell’informazione genetica, la ricetta delle proteine “custodita” da DNA che l’mRNA consegna ai ribosomi che, a loro volta, “confezionano” le proteine.
Proprio per questo suo ruolo chiave che, negli Anni 90, è nata l’idea di utilizzare l’mRNA sintetico a scopo terapeutico, quindi di impiegare specifiche molecole di RNA ottenute in laboratorio che potessero fornire alle cellule le informazioni per la produzione di determinate proteine terapeutiche. La possibilità di questo impiego ha però rappresentato non poche sfide per i ricercatori che hanno dovuto fronteggiare grandi limiti, dovuti essenzialmente all’instabilità e alla tendenza del mRNA a degradarsi velocemente. Ma anche l’ostacolo di far riconoscere l’mRNA sintetico come una molecola non estranea all’organismo, qualcosa su cui Karikó e Weissman hanno concentrato le loro ricerche.
Il problema principale risiedeva nel fatto che, se impiegato così come veniva prodotto in laboratorio, l’mRNA sintetico dava origine a reazioni infiammatorie, perché le cellule dendritiche – alcune cellule del sistema immunitario – riconoscevano questo mRNA come estraneo, portando al rilascio di molecole di segnalazione infiammatoria. Nel chiedersi perché l’mRNA normalmente contenuto nelle cellule non determinasse la stessa reazione, Karikó e Weissman hanno scoperto cosa distingueva i diversi tipi di mRNA.
La svolta: la modifica delle basi dell’mRNA
L’RNA contiene quattro basi azotate, adenina (A), uracile (U), guanina (G) e citosina (C) che durante la composizione della molecola sono spesso modificate chimicamente, a differenza dell’mRNA prodotto in laboratorio, che non subisce queste modificazioni. Tale differenza ha portato i due ricercatori a ipotizzare che l’assenza di queste modifiche potesse spiegare la reazione infiammatoria indesiderata e quindi a verificare, producendo diverse varianti dell’mRNA, quali fossero le modifiche che consentivano alle cellule dendritiche di considerare l’mRNA come non estraneo.
Questi esperimenti hanno condotto, nel 2005, all’identificazione di alcune specifiche modifiche alle basi dell’mRNA – tra cui la pseudouridina, la forma modificata del nucleoside uridina, in cui l’uracile è attaccato allo zucchero ribosio mediante un legame glicosidico carbonio-carbonio e non azoto-carbonio (nella figura qui sotto). Tali modifiche, quando presenti nell’mRNA sintetico, eliminavano quasi completamente la risposta infiammatoria: ciò significava che i due ricercatori erano arrivati alla comprensione di come le cellule riconoscono e rispondono alle diverse forme di mRNA, aprendo la strada all’uso della molecola come mezzo terapeutico. Ulteriori ricerche, nel 2008 e nel 2010, hanno poi dimostrato che l’mRNA modificato aumentava notevolmente la produzione di proteine rispetto all’mRNA non modificato, il che ha permesso di superare anche gli ultimi gli ostacoli critici verso l’applicazione clinica dell’mRNA.
I vaccini a mRNA contro il Covid (e non solo)
Le scoperte di Karikó e Weissman sono state essenziali nello sviluppo terapeutico dell’RNA messaggero, a partire dalla possibilità di produrre vaccini a mRNA basati su singoli componenti virali, come ad esempio la proteina Spike di Sars-Cov-2, che tre anni fa ha permesso di arrivare alla rapida produzione dei vaccini anti Covid di BionTech e Pfizer. Ma i campi applicativi dei vaccini a mRNA vanno oltre il Covid e altre malattie infettive, come l’influenza, su cui si è già in corso la sperimentazione di vaccini universali.
La ricerca include molteplici aree patologiche con anche la possibilità, ormai sempre più vicina, di arrivare a formulazioni in grado di stimolare la nostra risposta immunitaria nell’attaccare le cellule tumorali. Anche per queste formulazioni, la sperimentazione clinica procede spedita, con risultati promettenti nel trattamento di diverse neoplasie, come il melanoma e il tumore ai polmoni. Il tutto grazie all’intuizione di Karikó e Weissman che, in tempi non sospetti, non si fecero ostacolare alle difficoltà di una tecnologia complessa, ora diventata una delle risorse più preziose nella lotta alle malattie.