Perché la nuova influenza stagionale è più pericolosa e come distinguerla dal Covid
Con l’intensificarsi della circolazione dei virus dell’influenza stagionale, cresce anche in Italia il numero di contagi, già oltre 1.790.000 dall’inizio del monitoraggio 2022-2023, soprattutto tra i bambini sotto i cinque anni di età. Lo indicano gli ultimi dati della sorveglianza epidemiologica pubblicati su Influnet, il portale gestito dall’Istituto Superiore di Sanità (ISS), che evidenzia un “sensibile aumento” delle sindromi influenzali e simil-influenzali nel periodo compreso tra il 14 e 20 novembre, durante il quale si stimano circa 560.000 nuovi casi rispetto ai 410.000 della settimana precedente, con un’incidenza totale di 9,5 casi per mille assistiti, che nei più piccoli è a pari a 29,6. La gran parte delle infezioni è causata dal virus influenzale H3N2, più noto come “influenza australiana”.
“La curva epidemica delle sindromi simil-influenzali mostra valori sopra la soglia epidemica e superiori a quelli registrati nelle ultime stagioni” rileva l’ISS, precisando che a far crescere il numero di sindromi simil-influenzali hanno concorso anche altri virus respiratori, tra cui i rhinovirus, il virus respiratorio sinciziale (RSV), Sars-Cov-2 e, in parte, i virus parainfluenzali, gli adenovirus e altri coronavirus umani diversi da Sars-Cov-2. Tra le Regioni che hanno attivato la sorveglianza, precisa il rapporto Influnet, Piemonte, Lombardia, Veneto, Emilia-Romagna, Toscana, Umbria, Marche registrano un livello di incidenza che “supera la soglia di media entità” . Altre tre Regioni (Campania, Calabria, Sardegna) non hanno attivato la sorveglianza InfluNet.
I ceppi dell’influenza stagionale 2022-2023
Durante questa stessa settimana, nel nostro Paese ha avuto ufficialmente inizio anche la sorveglianza virologica dell’influenza stagionale, che rileva i principali ceppi attualmente in circolazione in Italia. I dati, in particolare, indicano che la maggior parte dei casi di influenza finora registrati è causata da H3N2, un sottotipo di virus dell’influenza A conosciuto anche come virus dell’influenza “australiana” che, in precedenza, è stato associato a forme più gravi di malattia. Nello specifico, su 182 campioni positivi ai virus influenzali (tutti di tipo A) analizzati dai laboratori afferenti alla rete Influnet, circa l’85% (154) era di sottotipo H3N2, il 5% (10) di sottotipo H1N1pdm09, mentre il restante 10% (18) non è stato ancora sottotipizzato.
Tale distribuzione riflette quanto osservato dal CIDRAP, il Centro per la ricerca sulle malattie infettive dell’Università del Minnesota, negli Stati Uniti, che nell’ambito della sorveglianza globale ha rilevato come H3N2 sia il sottotipo di influenza A predominante in questa stagione, riscontrato in circa l’84% dei campioni analizzati nel mondo, inclusi gli Stati Uniti.
Negli USA, dove H3N2 rappresenta circa il 76% dei campioni analizzati, la caratterizzazione genetica del virus ha inoltre evidenziato l’appartenenza del ceppo alla sub-clade 3C.2a1b, in particolare al sottogruppo genetico 3C.2a1b.2a2, rappresentato dal ceppo vaccinale A/Darwin/6/2021. “Un sottogruppo di 50 ceppi H3N2 sono stati caratterizzati dal punto di vista antigenico ed hanno mostrato tutti una buona reattività sia verso il ceppo vaccinale A/Darwin/6/2021-like, propagato in cellula, sia verso il ceppo vaccinale A/Darwin/9/2021-like propagato in uova embrionate di pollo” hanno precisato i Centers for Disease Control and Prevention (CDC), la principale organizzazione americana per il controllo e la prevenzione delle malattie, sottolineando come la composizione dei vaccini raccomandata dall’Organizzazione Mondiale della sanità (OMS) per la stagione influenzale 2022/2023 fornisca protezione nei confronti del ceppo predominante H3N2, oltre che nei confronti del minoritario H1N1pdm09.
Perché l’influenza "australiana" è più pericolosa
Premessa dunque la validità delle formulazioni antinfluenzali per la stagione 2022-2023 e che la vaccinazione, come evidenziato anche dall’ISS, è il modo migliore per prevenire e combattere l’influenza, sia perché aumenta notevolmente la probabilità di non contrarre la malattia sia perché, in caso di sviluppo di sintomi influenzali, questi sono molto meno gravi e, generalmente, non seguiti da ulteriori complicanze (bronchiti, polmoniti, otiti, sinusiti…), occorre fare un passo indietro e osservare che, storicamente, il sottotipo H3N2 dei virus dell’influenza A è associato a forme influenzali più gravi. Nelle stagioni dominate da questi virus, si sono infatti registrati tassi di ospedalizzazioni e mortalità più elevati, con una media superiore a quella di altri anni (ad esclusione dell’epidemia di influenza H1N1 del 2009).
L’ultima volta che il virus dell’influenza “australiana” è stato il ceppo dominante, durante la stagione influenzale 2017-2018, nei soli Stati Uniti sono stati registrati oltre 710.000 ricoveri e 52.000 decessi per influenza, su un totale stimato di 41 milioni di infezioni. In confronto, durante la stagione influenzale 2019-2020, quando l’influenza di tipo B e il ceppo H1N1 erano predominanti, sono stati registrati circa 390.000 mila ricoveri e 25.000 decessi correlati all’influenza su un totale di 36 milioni di casi.
I dati mostrano inoltre che il ceppo H3N2 può essere particolarmente rischioso per bambini ed anziani. Sempre negli Usa, su 710.000 ricoveri nella stagione influenzale 2017-2018, oltre 466.000 hanno riguardato persone di età pari o superiore ai 65 anni, e circa 28.000 i bambini sotto i 4 anni di età. In confronto, nella stagione 2019-2020, i ricoveri sono stati circa 170.000 negli over 65 e 26.600 sotto i 4 anni. “Anche quest’anno ci sono i primi segni di malattia più grave proprio in questi due gruppi di pazienti” ha recentemente riportato alla CNBC il dottor Jose Romero, direttore del Centro federale per l’immunizzazione e le malattie respiratorie dei CDC, precisando che, attualmente, il tasso di ospedalizzazione per influenza negli anziani è pari a 18 su 100.000 ricoveri, più del doppio della popolazione generale (8 su 100.000), nonché il più alto mai raggiunto all’inizio di una stagione influenzale dal 2010/11. I bambini di età pari o inferiore a 4 anni sono il secondo gruppo più colpito, con un tasso di ricoveri pari a 13 su 100.000.
I sintomi dell’influenza da H3N2 e come distinguerli dal Covid
I sintomi dell’influenza stagionale causata da H32 sono simili ai quelli di infezioni provocate da altri virus influenzali, e possono includere:
- tosse
- naso che cola o raffreddore
- gola infiammata
- mal di testa
- dolori articolari o muscolari
- febbre
- brividi
- affaticamento
- diarrea
- vomito
Gran parte di questi sintomi sono comuni ad altre infezioni causate da diversi virus respiratori, incluso il coronavirus Sars-Cov-2 e le diverse varianti emerse dallo scoppio della pandemia di Covid. In particolare, alcune di queste varianti, come le più recenti forme mutate di Omicron, causano infezioni che hanno quadri clinici che possono essere assimilabili a quelli dell’influenza stagionale, complice anche il crescente livello di immunità per effetto delle vaccinazioni, che riducono il rischio di malattia grave.
Ciò significa che i soli sintomi di infezione non permettono di distinguere tra Covid e influenza stagionale e che l’unico modo per escludere ogni dubbio è quello di sottoporsi al test del tampone per la ricerca di Sars-Cov-2.