Perché la Dengue viene chiamata febbre rompiossa o spaccaossa
Nelle prime righe dell'approfondimento dedicato alla febbre Dengue da parte dell'Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), la malattia viene definita come break-bone fever, ovvero “febbre rompiossa” o “spaccaossa”. Anche gli autorevoli Manuali MSD per operatori sanitari riportano la medesima indicazione per l'infezione virale, trasmessa dal morso delle zanzare del genere Aedes come la zanzara della febbre gialla (Aedes aegypti) e la zanzara tigre (Aedes albopictus). Sono nomi piuttosto inquietanti e poco rassicuranti, che riflettono uno dei sintomi più caratteristici della condizione. Chiaramente non si sta parlando di fratture, ma di dolore particolarmente intenso alle ossa e alle articolazioni, talmente invalidante che in alcuni casi rende difficili anche i movimenti più semplici.
Il termine “febbre rompiossa” per definire la Dengue fu utilizzato per la prima volta in un documento del 1789 redatto dal dottor Benjamin Rush, medico e politico americano noto per essere uno dei padri fondatori degli Stati Uniti e tra i firmatari della Dichiarazione di indipendenza degli Stati Uniti (1776). Il rapporto fu compilato per descrivere una grave epidemia di Dengue che colpì l'area di Filadelfia a partire dal 1780, durante la quale molti pazienti soffrirono di dolori lancinanti alle ossa e alle articolazioni. Come indicato dai Manuali MSD, dopo un periodo di incubazione compreso tra i 3 e i 15 giorni – cioè il tempo che intercorre tra l'esposizione al patogeno (morso della zanzara) e comparsa dei sintomi – si manifestano in modo repentino “febbre, brividi, cefalea, dolore retrorbitario con i movimenti oculari, lombalgia e grave prostrazione”. “Durante le prime ore si presentano anche dolori di elevata intensità alle gambe e alle articolazioni, che giustificano la denominazione di febbre spaccaossa (o rompiossa, breackbone)”, evidenziano gli esperti. Ciò è dovuto all'infiammazione dei tessuti determinata dall'invasione virale.
A causa del modo in cui i quattro sierotipi (DEN-1, DEN-2, DEN-3 e DEN-4) dei Flavivirus – virus a RNA a singolo filamento – trasmessi dalle zanzare Aedes attaccano il nostro organismo, la seconda infezione determina un rischio sensibilmente superiore di sviluppare la sintomatologia grave, che può sfociare in complicazioni anche fatali. Si ritiene che degli oltre 100 milioni di casi che si registrano in tutto il mondo, circa 20.000 portano al decesso dei pazienti. Tra le complicazioni figurano febbre emorragica Dengue, shock, encefalopatia, convulsioni, Sindrome di Guillain Barré e altre ancora. Sebbene la mortalità sia piuttosto bassa, il numero enorme di positivi ha comunque un impatto elevato sui sistemi sanitari e la perdita di vite umane.
In America è attualmente in corso la peggiore epidemia di febbre Dengue della storia, con oltre 3,5 milioni di casi e 1.000 morti (800 in Brasile) registrati nei primi tre mesi dell'anno. Nel 2023, da gennaio a marzo, le infezioni erano state tre volte di meno, mentre nell'arco dell'intero anno sono stati contati 4,5 milioni di casi, un dato (già record) destinato a essere “frantumato” da quello del 2024. La preoccupazione non riguarda solo il continente americano – e in particolar modo i Paesi sudamericani come il Brasile, l'Argentina e il Paraguay, i più colpiti – ma anche il resto del mondo, a causa della globalizzazione e del cambiamento climatico che rischiano di favorire la diffusione della Dengue, come spiegato a Fanpage.it dalla virologa Ilaria Capua.
I viaggiatori positivi, ad esempio, possono essere punti dalle zanzare tigre autoctone che sono in grado di trasmettere il virus alle altre vittime, dando vita a focolai locali. Nel 2023 in Italia sono stati registrati oltre 80 casi di Dengue proprio con questa dinamica. Per quanto concerne il cambiamento climatico, si rischia l'espansione dell'areale di distribuzione della zanzara della febbre gialla, principale vettore della febbre Dengue e molto più efficace della "nostra" zanzara tigre a trasmetterla. In Italia questa specie ancora non c'è, tuttavia, così com'è arrivata la zanzara tigre a partire dagli anni '90 del secolo scorso, non si può escludere il suo approdo nei prossimi anni. Ciò catalizzerebbe il rischio di diffusione di diverse patologie legate alla fascia tropicale e subtropicale del pianeta.