Perché in Italia è pieno di casi Covid “fantasma” non rilevati: la spiegazione di Maga a Fanpage.it
Com'è ampiamente noto, durante il periodo invernale si raggiungono i picchi delle infezioni respiratorie, dato che i virus responsabili di influenza, sindromi parainfluenzali, raffreddore, COVID-19 e altre patologie si avvantaggiano del freddo. Le ragioni sono sia biologiche che logistiche. Per le prime si può far riferimento a vasocostrizione, riduzione del movimento delle ciglia delle alte vie respiratorie e minore efficienza del sistema immunitario, tutte condizioni catalizzate dalle basse temperature che favoriscono l'aggressione virale; per le seconde al fatto che, proprio in virtù del clima rigido, si trascorre più tempo al chiuso e in posti affollati, come cinema e teatri. È chiaro a tutti che in questi contesti i virus “fanno festa”. Non c'è dunque da stupirsi che praticamente tutti conoscono qualcuno che in questo periodo è a letto con febbre alta e altri sintomi, per influenza o magari infezione da coronavirus SARS-CoV-2 (il patogeno responsabile della pandemia).
I casi di Covid sono particolarmente interessanti per via del fatto che i numeri riportati nei bollettini diramati dal Ministero della Salute sono molto bassi. Nell'ultimo rapporto che fa riferimento alla settimana 21 – 27 dicembre 2023 le infezioni registrate sono state appena 40.990, il 32,2 percento in meno della precedente. Appare una significativa sottostima del dato sulla reale circolazione del virus. Per comprendere meglio il fenomeno dei casi Covid “fantasma” non rilevati e la validità dei dati di questi bollettini, Fanpage.it ha contattato il professor Giovanni Maga, Direttore presso il Dipartimento di Scienze Biomediche del CNR. Ecco cosa ci ha raccontato.
Professor Maga, i numeri riportati in questi bollettini settimanali sulle infezioni non sembrano affatto rappresentativi della realtà, dato che tutto suggerisce una circolazione virale decisamente più massiccia. Cosa può dirci al riguardo?
Secondo me un punto da chiarire è che quando si guarda il rapporto settimanale sull'andamento dell'epidemia, quelli che vengono registrati sono i casi di sintomatologie simil influenzali. Quelli che i pazienti riportano ai medici sentinella, con sintomi compatibili con la sindrome influenzale. Febbre, mal di gola, tosse. Che però non significa che siano dovuti all'influenza. Quando vengono tipizzati i campioni che vengono mandati all'Istituto Superiore di Sanità (ISS), ad esempio, nell'ultimo rapporto soltanto il 30 percento dei campioni era risultato positivo all'influenza e l'8 percento al SARS-COV-2. Poi gli altri erano virus respiratorio sinciziale, adenovirus. Cioè tutto il corteo di virus parainfluenzali che circolano normalmente in inverno.
Ecco, 8 percento sembra davvero poca cosa per il SARS-CoV-2. E appare chiaro il ruolo dei test fai da te, i cui risultati restano in famiglia
È chiaro che questo 8 percento è una stima in difetto, come diceva lei. Il motivo principale qual è: che contrariamente all'influenza, il SARS-CoV-2 dà molto spesso sintomatologie lievi, a volte infezioni asintomatiche. L'influenza dà sempre una sintomatologia, quindi poi la persona è invogliata a consultare il medico piuttosto che magari andare al pronto soccorso, anche se sarebbe meglio sempre consultare prima il medico di base, per non creare un intasamento. Molte delle persone fanno un test fai da te a casa, vedono che sono positive ma poi non passano dal medico. Quindi non sono registrate. Per cui, fondamentalmente, questa grossa differenza è dovuta al differente esordio causato dall'infezione. L'influenza ti dà sempre dei sintomi evidenti, il SARS-CoV-2 invece, molto spesso, dà appunto sintomi così lievi che uno li trascura, non se ne accorge o comunque non li riporta. Lo sappiamo grazie alla vaccinazione, all'immunità ibrida e al fatto che siamo stati esposti per 2 anni a questo virus.
Secondo lei quanto è realmente diffuso il SARS-CoV-2 nel nostro Paese?
È difficile adesso fare una stima su quanto sia veramente diffuso. Personalmente penso che i casi possano essere in percentuale anche più di quelli di influenza. Aneddoticamente, come diceva lei, quando si parla con amici e conoscenti, si trova sempre qualcuno che gli dice che è positivo. Questo però non ci deve preoccupare.
Per quale ragione non dobbiamo preoccuparci dei casi “nascosti” e della circolazione massiccia?
Il dato veramente significativo è l'impatto che poi le infezioni hanno sul sistema sanitario. È chiaro che sapendo che c'è una circolazione attiva molto diffusa del SARS-CoV-2, sarebbe consigliabile avere un atteggiamento prudente, soprattutto se siamo a contatto con persone fragili. Prudente vuol dire che se io vado a trovare un anziano, tengo la mascherina. Se voglio evitare o abbassare il rischio di contagio, magari la mascherina la tengo anche quando vado al supermercato, in treno o nei luoghi molto affollati. Questo perché indipendentemente dal fatto che poi i sintomi siano lievi, comunque sappiamo che c'è una circolazione attiva. Però, proprio perché l'infezione da SARS-CoV-2 non sta creando un impatto significativo in termini di ricoveri, non sta appesantendo più di tanto il sistema sanitario nazionale. A parte appunto in alcune categorie particolarmente fragili, deboli, che possono avere conseguenze gravi. Il fatto che ci siano dei casi non registrati deve indurre una certa prudenza, ma allo stesso tempo non creare un'eccessiva preoccupazione dal punto di vista dello stress del sistema sanitario.
Dato che questi bollettini hanno dati così falsati, la loro validità sembra lasciare il tempo che trova. Ha ancora senso secondo lei diramarli in questo modo, settimanalmente, dato che appunto, le persone positive poi comunque non lo comunicano alle ASL?
Diciamo che l'utilità è sicuramente sempre significativa, per due motivi. Innanzitutto il monitoraggio delle sindromi influenzali ci dà comunque un'indicazione dei tempi di esordio delle infezioni, e sappiamo che comunque il virus influenzale, soprattutto in questo periodo, dove circola l'H1N1, quello della pandemia diciamo, è un virus che può dare delle risultanze anche importanti dal punto di vista clinico. Possiamo seguire l'andamento e anche impostare delle politiche sanitarie; ad esempio decidere quando iniziare la vaccinazione, consigliare per tempo alle persone fragili di vaccinarsi. Anche avere un monitoraggio dell'eventuale diminuzione di questi casi. Ovviamente l'unico elemento che probabilmente viene registrato in maniera in meno efficiente è proprio il SARS-CoV-2. Perché tutti gli altri virus comunque tendono a dare delle sintomatologie e quindi di fattoo poi vengono intercettati. In particolare quelli più importanti, quindi l'influenza, il virus respiratorio sinciziale. L'utilità c'è sicuramente. Questa sorveglianza ci permette di tipizzare i virus che stanno circolando. Ad esempio il fatto di essere in grado di dire che l'influenza in questa fase è sostenuta da un certo ceppo virale, da un lato ci può aiutare a confermare l'efficacia del vaccino, dall'altro può guidare anche il clinico rispetto alla sintomatologia. Perché questi virus influenzali di tipo A possono avere delle sintomatologie leggermente differenti. Ritengo che sia comunque una sorveglianza attiva molto utile, sapendo che ci sono una quota di casi paucisintomatici e asintomatici che sfugge. Però questo è fisiologico, diciamo così.
Anche le varianti meno aggressive, l'immunità diffusa e i vaccini stanno giocando un ruolo nel ridurre le percentuali di queste infezioni?
Diciamo di infezioni sintomatiche che richiedono appunto un passaggio dal medico di base. E per fortuna dico io
Teme il fatto che possa emergere una nuova variante più aggressiva, dopo che abbiamo avuto un calo della virulenza da Omicron originale in poi? Le molteplici sottovarianti di Omicron sembrano essere sempre meno aggressive, con sintomi assimilabili a un raffreddore nella maggior parte dei casi. Ritiene possibile questo cosiddetto cigno nero?
Tutte le indicazioni, anche proprio da un punto di vista degli studi che analizzano l'evoluzione di queste sottovarianti, portano a un percorso che va sempre verso una circolazione di varianti con un vantaggio dal punto di vista del contagio. Quindi più facilmente trasmissibili, però con delle caratteristiche cliniche ben definite, sempre più moderate. La sicurezza non esiste, però da un punto di vista anche biologico, questo famoso cigno nero dovrebbe innanzitutto avere dei vantaggi rispetto ai ceppi circolanti. Il fatto di essere più aggressivo non è un vantaggio. Il vantaggio sarebbe avere una capacità di contagiare molto più elevata, ma soprattutto se dà dei sintomi gravi, come dire, assicurare comunque che la persona malata sia in grado di diffondere il virus. È più difficile, perché se uno sta male non va in giro. Quindi l'evoluzione del quadro, secondo me, sarà quella a cui stiamo assistendo, perché è difficile immaginare che una variante che abbia un impatto clinico più severo, come le prime che ci hanno tormentato, possa avere un vantaggio rispetto alle varianti circolanti che sono estremamente contagiose. Dal punto di vista del virus, anche se il virus non pensa, hanno il massimo del vantaggio, perché di fatto quello che conta è la capacità di propagarsi a nuovi ospiti.
A un certo punto possiamo dunque aspettarci che il SARS-CoV-2 andrà a fare compagnia ai “magnifici 4”, i quattro coronavirus principalmente responsabili del raffreddore
Sì, io penso che anche questi quattro coronavirus ai loro tempi, non sappiamo esattamente quando, probabilmente secoli fa, hanno dato delle pandemie e poi, come dicevo, avendo stabilito un rapporto stabile con l'ospite, fortunatamente hanno acquisito una patogenicità più bassa. Bisogna ricordare che dipende molto dal virus. Non è detto che un virus per stabilirsi all'interno della popolazione debba necessariamente essere meno grave dal punto di vista dei sintomi, ma quello che diciamo è che affinché un virus rimanga all'interno della popolazione è fondamentale la sua capacità di diffondersi. Quindi, fortunatamente, quello che vediamo è che il SARS-CoV-2 sta acquisendo sempre una maggiore capacità di diffusione, ma allo stesso tempo con un effetto modesto rispetto all'organismo che viene infettato. Ritengo difficile che questo trend venga cambiato in maniera drastica.
L'ultimo bollettino riferito al periodo 21 – 27 dicembre riporta 40.990 casi di infezioni da coronavirus SARS-CoV-2, il 32% in meno rispetto alla settimana precedente. Anche decessi sono calati del 34%. Si aspetta che dopo le festività, avendo trascorso più tempo insieme gli altri, possa esserci una sorta di ondata, con un incremento significativo di questi dati? Si aspetta numeri più alti nei prossimi bollettini?
I numeri non li do, preferisco vederli quando poi vengono effettivamente contati. È possibile che il periodo festivo, che ha comportato una maggiore interazione, possa dare un aumento generale dei casi. Rispetto però ai casi gravi, quindi alle ospedalizzazione e ai decessi, è molto più difficile da stabilire.
Per quale motivo?
Perché le persone che poi di fatto vengono ospedalizzate, fanno parte di quelle categorie più a rischio che si immagina siano comunque all'interno di un sistema anche familiare un po' più protetto. Anche durante le feste. Mi aspetto che ci possa essere un rialzo dei contagi, non so di che entità, ma non mi aspetto un impatto significativo sui casi gravi. Sempre nei limiti del “io mi aspetto”, poi saranno i dati a parlare.
Quindi diciamo che questa grande diffusione non è un grande problema perché non sta mettendo sotto pressione il sistema sanitario come all'inizio della pandemia, però c'è sempre da tenere in considerazione la popolazione fragile, da tutelare con mascherine e simili
Assolutamente sì
Per quanto concerne sintomi, durata delle infezioni, tempo di incubazione e rischio di reinfettarsi delle nuove varianti cosa può dirci? Ci sono delle differenze rispetto al passato, ad esempio nel caso della recente JN.1?
Forse adesso è un po' presto per trarre delle conclusioni. Dal punto di vista delle reinfezioni bisognerà fare i conti quando il virus sarà in circolazione per un po' di tempo. Non sembrano esserci delle differenze particolari, se non che questa variante sembra appunto avere una maggiore facilità di contagio, e quindi è più facile prendersela. I tempi di incubazione sono molto variabili da persona a persona; possono andare da pochi giorni a una settimana. Dipende molto da chi incontra. Se una persona ha un'immunità già pregressa di un certo tipo il quadro può cambiare. Non sembra si siano rilevate delle differenze particolarmente significative, se non appunto il fatto che è più facile contagiarsi. Quindi l'invito è sempre quello alla prudenza.
Possiamo immaginare che anche nei prossimi anni in vista della stagione fredda si continuerà a fare la doppia vaccinazione nelle fasce a rischio, influenza e COVID-19. Lei pensa che i vaccini anti Covid continueranno ad essere aggiornati sulla base delle nuove varianti?
I virus evolvono continuamente, anche il vaccino influenzale viene aggiornato ogni anno rispetto ai ceppi circolanti. Perché a volte anche piccole differenze possono determinare una variabilità rispetto all'antigene e quindi alla capacità del sistema immunitario. Sicuramente passeremo a questo regime di vaccinazione stagionale, a meno che a un certo punto non si stabilisca o non si veda che SARS-CoV-2 non causa più patologie significative anche nelle persone fragili. Per gli altri coronavirus non facciamo vaccini. Però questo si vedrà nel tempo. L'idea è certamente quella di continuare a proteggere le fasce a rischio esattamente come si fa con la vaccinazione antinfluenzale. Il monitoraggio continuerà e quindi si valuterà appunto la comparsa di varianti con delle differenze in grado quindi di impattare sull'efficacia dei vaccini e per cui i vaccini saranno aggiornati. Immagino si arriverà a un meccanismo esattamente analogo a quello del vaccino antiinfluenzale. Cioè ogni anno si valuta se il vaccino che verrà proposto sarà in grado di coprire in maniera efficace le varianti circolanti.
Tecnicamente siamo ancora nella pandemia, anche se l'OMS ha dichiarato l'uscita dalla fase critica. Lei pensa che entro quest'anno possa arrivare l'annuncio e la formalizzazione dell'entrata nell'endemia?
La definizione di condizione pandemica oppure no è strettamente correlata al tipo di misure che vengono introdotte dai vari Paesi e anche dall'andamento globale dell'infezione. Mi sembra che ci stiamo avviando verso una fase di una gestione normale. Verosimilmente, quello che si vuole vedere è appunto se questo trend continuerà e quindi se non ci sarà più necessità di introdurre particolari limitazioni, come io penso, e a quel punto non ci sarà più il quadro normativo di riferimento di tipo emergenziale. Poi diciamo che noi viviamo diverse pandemie attualmente: epatite C, HIV, epatite B. Sono tutti virus pandemici, nel senso che sono presenti in tutto il mondo. A questo punto diventa poi una formalità.