Perché il WWF ha provato (e non è riuscito) a creare arte digitale NFT “ecologica”
“Desolante oltre ogni immaginazione”, “sorprendentemente stupida” e “terribilmente sconcertante”. Sono queste alcune delle reazioni con cui una parte del mondo ambientalista ha definito la decisione della sezione britannica del WWF di lanciare una raccolta fondi basata sulla vendita di opere digitali con NFT, ovvero con Non-Fungible Token, un tipo di gettone crittografico che attribuisce a una creazione digitale tutti i diritti che avrebbe nel caso in cui fosse un’opera d’arte reale, come autenticità e proprietà. Il progetto del WWF UK, in particolare, è stato ideato attorno ai “Tokens for Nature”, una collezione di 13 immagini di specie animali in via di estinzione, come il panda gigante, il rinoceronte di Giava e l’elefante del Borneo, per citarne alcuni, ciascuna racchiusa all’interno di un cubo che sembra di vetro. Ma prima ancora che la raccolta fondi iniziasse, il progetto ha scatenato la dura reazione di una parte degli ambientalisti, preoccupati dall’impatto ambientale dell’iniziativa. Il risultato? Nel giro di pochi giorni il WWF UK ha interrotto la vendita online.
Gli NFT “ecologici” del WWF
La maggior parte dei creatori di NFT utilizza una tecnologia chiamata Ethereum, che è un sistema blockchain simile a Bitcoin, che implica una particolare funzione del computer ad alta intensità energetica, chiamata mining. Computer specializzati nel mining, a turno, convalidano le transazioni mentre indovinano la combinazione di una lunga serie di cifre generate automaticamente. Il computer che per primo risolve la combinazione, vince un premio pagato in una criptovaluta, chiamata ether. Secondo le stime, il consumo energetico per la generazione degli NFT produce più emissioni di carbonio di Singapore.
A differenza dei normali NFT, tuttavia, il WWF UK ha affermato che i suoi NFA (Non-Fungible Animals) erano “ecologici”. Nella sua dichiarazione di sostenibilità, l’organizzazione ambientalista ha indicato che la vendita di tutte le circa 8.000 NFA avrebbe avuto un’impronta di carbonio simile a quella di mezzo litro di latte o di una mezza dozzina di uova. La ragione di questo impatto trascurabile, sempre secondo il WWF UK, risiedeva in un’intelligente applicazione blockchain, chiamata Polygon, che avrebbe consentito al progetto di avere un minor numero di interazioni dirette con la blockchain di Ethereum.
Allora perché annullare la racconta fondi per le polemiche? La realtà è che l’ipotesi del WWF è complicata dal fatto che Polygon è una blockchain di livello 2 che dipende dalla rete Ethereum nello svolgimento di alcuni servizi essenziali, come lo spostamento di asset tra Ethereum e Polygon e la creazione di checkpoint tra i due. Secondo Alex de Vries del sito web di monitoraggio delle criptovalute, Digiconomist, l’impronta di carbonio del progetto del WWF era in realtà circa 2.100 volte superiore (12.600 uova) alla stima fornita dall’ente di difesa dell’ambiente,
C’è poi anche da considerare che il calcolo del consumo energetico di Polygon, su cui concorda Ulrich Gallersdörfer, Ceo del Crypto Carbon Ratings Institute, non tiene conto degli effetti di second’ordine che sarebbero derivati dalla vendita degli NFA del WFF, per cui i primi acquirenti avrebbero potuto a loro volta rimettere gli NFA in vendita sul popolare mercato degli NFT, chiamato Opensea, che attualmente è il primo consumatore di gas sulla rete Ethereum, responsabile di quali il 20% delle azioni sulla blockchain.
Ad ogni modo, il WWF non è il primo ente a rivalutare la propria posizione sulle cripto-donazioni. Nel 2021 anche Greenpeace ha smesso di accettare sovvenzioni in bitcoin dopo sette anni, così come la rete di organizzazioni ambientaliste Friends of the Earth. E anche le organizzazioni no profit di Internet, Mozilla e Wikipedia, hanno riconsiderato le loro strategie di donazioni in criptovaluta sulla base del cambiamento climatico.