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Perché il fruttosio può essere la causa dell’Alzheimer e come influisce sulla funzione del cervello

Potrebbe predisporci non solo all’obesità e al diabete, ma anche al declino cognitivo e alla neurodegenerazione.
A cura di Valeria Aiello
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Il rischio di Alzheimer sembra essere aumentato da diverse condizioni di salute, fattori genetici e stili di vita e ambientali che nel tempo hanno impatto sul cervello. Ma anche da un meccanismo in particolare, legato al fruttosio, un tipo di zucchero particolarmente importante nella nutrizione umana e di molti animali, il cui eccesso pare però predisporci allo sviluppo non solo di obesità e diabete, ma anche di questa forma di demenza. Questo perché il fruttosio è responsabile di un meccanismo cellulare che i ricercatori chiamano “risposta di sopravvivenza”, una sorta di interruttore che stimola la ricerca di cibo e che in passato ha aiutato i nostri antenati a superare i periodi di scarsità.

Tuttavia, in un periodo di relativa abbondanza di cibo, gli studiosi sospettano che questo interruttore sia perennemente accesso, portandoci a consumare più alimenti ad alto contenuto di grassi, zuccheri e sale, la cui assunzione provoca una produzione eccessiva di fruttosio a livello cerebrale. “Il fruttosio prodotto nel cervello può portare all’infiammazione e, alla fine, al morbo di Alzheimer” afferma il team di ricerca che ha scoperto in che modo l’intera risposta al cibo è messa in moto dal fruttosio, consumato o prodotto dall’organismo.

In altre parole, quando minacciati di morire di fame, i primi umani svilupparono una risposta di sopravvivenza che li spingeva a cercare cibo, ottimizzata in varie parti del cervello per bloccare tutto ciò che si frappone, come i ricordi recenti e l’attenzione al tempo, in modo da favorire dinamiche di attenzione, valutazione rapida, impulsività, comportamento esplorativo e assunzione di rischi. Il metabolismo del fruttosio, e del suo sottoprodotto, l’acido urico intracellulare, aiuta a smorzare questi centri nervosi, consentendo una maggiore concentrazione sulla raccolta del cibo.

Gli effetti del fruttosio sul cervello

Lo studio di questo metabolismo, dettagliato in un articolo sull’American Journal of Clinical Nutrition, ha indicato che il fruttosio riduce il flusso sanguigno alla corteccia cerebrale del cervello coinvolta nell’autocontrollo, così come nell’ippocampo e nel talamo, aumentandolo nel frattempo intorno alla corteccia visiva associato alla ricompensa del cibo. Tutto ciò stimola la risposta al foraggiamento.

Riteniamo che, inizialmente, la riduzione dipendente dal fruttosio nel metabolismo cerebrale in queste regioni fosse reversibile e pensata per essere benefica – ha spiegato l’autore principale dello studio, il professor Richard Johnson della School of Medicine dell’Università del Colorado, negli Stati Uniti – . Nonostante ciò, la riduzione cronica e persistente del metabolismo cerebrale guidata dal metabolismo ricorrente del fruttosio porta alla progressiva atrofia cerebrale e alla perdita di neuroni con tutte le caratteristiche alla malattia di Alzheimer”.

Johnson e il suo team suggeriscono dunque che l’Alzheimer sia “un adattamento dannoso” di un percorso evolutivo di sopravvivenza, il che implica che ciò che in passato era servito a garantire cibo, acqua e ossigeno fondamentali per la vita possa trasformarsi in qualcosa di profondamente negativo se applicato per lunghi periodi. “Uno studio ha scoperto che se si tengono i ratti da laboratorio sotto fruttosio abbastanza a lungo, accumulano proteine tau e beta-amiloidi nel cervello, che sono le stesse proteine osservate nell’Alzheimer – ha aggiunto Johnson – . Alti livelli di fruttosio possono essere trovati anche nel cervello dei pazienti con Alzheimer”.

Sebbene siano necessari ulteriori ricerche sul ruolo del fruttosio e del metabolismo dell’acido urico nell’Alzheimer, Johnson sospetta inoltre che la tendenza di alcuni pazienti ad allontanarsi possa essere una traccia dell’antica risposta alla ricerca di cibo. “I dati disponibili supportano le nostre ipotesi, ma studi dietetici e farmacologici, con particolare attenzione ai soggetti a rischio e a coloro con Alzheimer precoce, rappresentano un’importante opportunità per determinare se l’inibizione del metabolismo del fruttosio possa fornire benefici nella prevenzione, gestione o trattamento di questa malattia”.

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