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Cos’è il fenomeno del freezing, il meccanismo psicologico di cui si parla per la tragedia del Natisone

Oltre all’istinto di combattere o fuggire, in alcuni casi si può rispondere al pericolo cadendo in uno stato di “congelamento temporaneo”, come potrebbe essere successo ai tre ragazzi coinvolti nella tragedia del Natisone. “La paura e il rispecchiamento delle stesse emozioni negli altri ragazzi potrebbe avere fatto sì che si arrendessero al loro destino”, spiega la dottoressa Contarino.
Intervista a Dott.ssa Antonella Contarino
Psicologa e psicoterapeuta
A cura di Velia Alvich
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Fermi in mezzo all'acqua che li circonda, mentre si abbracciano. Chi ha guardato quelle immagini in un video si è chiesto perché Patrizia Cormos, Bianca Doros e Cristian Caslan Molnar, i tre ragazzi che sono stati travolti dalla piena del Natisone, non si sono mossi dalla spiaggia diventata una trappola mortale una volta che l'acqua ha cominciato a salire.

Una risposta alla paura che potrebbe essere spiegata con le reazioni innate del nostro cervello. A spiegare a Fanpage.it cosa potrebbe essere accaduto è stata la psicologa e psicoterapeuta Antonella Contarino.

Cosa si intende per "effetto freezing"? 

Il freezing è un fenomeno di immobilizzazione come risposta a una situazione di pericolo, una minaccia o un evento che mette a repentaglio la nostra sicurezza e la nostra vita. In quel momento, il nostro cervello innesca una serie di reazioni istintive, tra cui la cosiddetta risposta fight or flight, cioè combattere o fuggire. In risposta ad uno stimolo minaccioso, l'amigdala genera reazioni del sistema vegetativo accelerando il ritmo cardiaco, aumentando la pressione, attivando il tono muscolare in modo da preparare l'organismo all'attacco o alla fuga. Esiste tuttavia una terza risposta: quella di cadere in uno stato di congelamento” momentaneo, che inibisce ogni pensiero o movimento. Il freezing crea una sorta di stato dissociativo che permette alla vittima di non “essere” nella situazione che sta vivendo.

Potrebbe essere applicabile alla reazione dei tre giovani ragazzi che sono rimasti intrappolati dalla piena del Natisone?

Che tutti e tre i ragazzi abbiano reagito con lo stesso meccanismo rappresenta un elemento insolito, che potrebbe aver impedito che qualcuno di loro riuscisse a reagire e a sbloccare anche gli altri.

Cosa causa il freezing e in generale perché ci si può bloccare in risposta a un'emergenza?

La paura è una della emozioni primarie, presenti già nei primi mesi di vita. Il suo scopo principale è di allertare l’organismo affinché possa prepararsi alla difesa, all’attacco o alla fuga. Molte paure degli animali e degli uomini sono dovute a meccanismi inizialmente innati, configurandosi come un tentativo di produrre risposte adattive di allarme e salvaguardia di fronte a specifici stimoli che indicano che c'è un pericolo.

Per esempio?

Il classico di meccanismo innato alla fuga negli animali è quello della gazzella che ogni mattina sa di dover scappare dall’attacco del leone. Nella sua mente si producono dei meccanismi innati che la preparano a fuggire. Negli esseri umani, questo si può declinare come un’ansia lieve che nel tempo diventa cronica e che prepara il nostro cervello al pericolo, talvolta anche quando il pericolo non c’è, in quanto sulle paure innate si innestano, nel corso della vita, le paure apprese, attraverso meccanismi genetici, biologici o ambientali.

Cosa si prova durante un episodio come quello del freezing? E quanto può durare? 

È verosimile che i tre ragazzi si siano trovati di fronte a sensazioni forti, che non sono stati in grado di affrontare, perchè inaspettate, spaventose. E anche perchè il rischio di morire e l’imprevedibilità della corrente hanno creato questo blocco. La paura, l’angoscia e il rispecchiamento delle stesse emozioni negli altri ragazzi potrebbe avere fatto sì che si arrendessero a quello che il destino aveva in serbo per loro. Questa reazione può durare da pochi secondi fino a 30 minuti.

Quali sono i sintomi più comuni del freezing?

Per esempio l'alterazioni della respirazione: le persone che sperimentano il freezing tendono a respirare in modo più superficiale o persino a trattenere il respiro, rallentamento del battito cardiaco, a differenza di quanto accade nella risposta “combatti o fuggi”, in cui il cuore batte più velocemente per preparare il corpo all’azione. Inoltre, l’istinto in situazioni pericolose entra in gioco e si traduce in un aumento della visione periferica tramite una dilatazione delle pupille, che permette di monitorare più attentamente l’ambiente circostante, ma anche l’udito si fa più sensibile e reattivo. Infine, la circolazione sanguigna può rallentare, causando il raffreddamento di mani e piedi, che possono anche dare l'impressione di essere pesanti e proprio impossibilitati a muoversi.

Esiste un modo per "allenarsi" ad avere una risposta diversa alle situazioni di pericolo? Ci sono persone più predisposte di altre?

Il freezing rappresenta una reazione innata, che non può essere prevista, ma sicuramente colpisce maggiormente le persone predisposte ad ansia, disturbi dell’umore ed attacchi di panico. L’EMDR (Eye Movement Desensitization and Reprocessing) o desensibilizzazione e rielaborazione attraverso i movimenti oculari, è un particolare tipo di approccio terapeutico. Oggi è la tecnica di elezione per la rielaborazione dei traumi. È basato sul fatto che l'esperienza traumatica, grande o piccola che sia, può non essere elaborata e portare a ripercussioni sulla salute psichica e fisica dell'individuo anche nel lungo termine. Lo scopo di questo approccio è di consentire all'individuo di elaborare correttamente il trauma e il suo ricordo ed evitare nuove risposte traumatiche in futuro. Il freezing infatti è noto perchè colpisce nelle situazioni di pericolo, un esempio comune è quello dello stupro, dei veterani di guerra, delle stragi ambientali, dove la vittima si dichiara spesso immobilizzata e incapace di reagire. Spesso le vittime vengono “accusate” di non aver reagito, quando in realtà lo stato del freezing li protegge dal dolore e dalla consapevolezza di ciò a cui stanno andando incontro.

Quindi chi non ci è mai passato prima rischia di non sapere affrontare la situazione di pericolo?

Chi si trova per la prima volta a dover affrontare un’emergenza potrebbe non essere a conoscenza di soffrirne e per questo incapace di farvi fronte. Lavorare sulla gestione delle proprie emozioni e sulla riduzione dello stress, comprendere i propri stati d’animo nelle situazioni più critiche, anche se non di emergenza, è un primo metodo per prevenire lo sviluppo di reazioni più gravi in caso di pericolo. Un altro metodo per conoscere se stessi e utilizzare metodi di risoluzione dei conflitti e dello stress sono tecniche di mindfulness, la meditazione, lo sport. Infine, in alcuni casi, soprattutto quelli con una forte componente genetica e ambientale i disturbi di questo tipo possono necessitare e giovare di una consulenza psichiatrica e di un supporto farmacologico.

Le informazioni fornite su www.fanpage.it sono progettate per integrare, non sostituire, la relazione tra un paziente e il proprio medico.
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