Perché i casi di cancro alla prostata raddoppieranno entro il 2040: lo studio
Nel 2040 i casi annuali di cancro alla prostata potrebbero raddoppiare. Secondo le previsioni della Commissione sul cancro alla prostata di Lancet, la prestigiosa rivista medica inglese, nel 2040 si conteranno in tutto il mondo 2,9 milioni di cancro alla prostata all'anno. Circa il doppio di quelli del 2020, quando ci sono stati 1,4 milioni di casi.
Il report, pubblicato su Lancet, mette in guardia anche sull'aumento potenziale di decessi: secondo la previsione dello studio, oltre ai casi di malattia, aumenteranno anche i decessi dovuti a quest'ultima. La percentuale dell'aumento è di circa l'85%, soprattutto nei Paesi a basso e medio reddito: nell'arco dei prossimi 20 anni, i decessi potrebbero passare dai 375.000 del 2020 a quasi 700.000 entro il 2040.
Le motivazioni dell'aumento di casi
Quando si parla della possibile evoluzione di una certa malattia, spesso l'aumento dei casi è collegato a fattori ambientali o allo stile di vita delle persone. Tuttavia, in questo caso specifico la previsione dell'aumento di casi di cancro alla prostata non è dovuto a fattori di altra natura.
Come spiegano gli autori, i casi di cancro alla prostata sono destinati ad aumentare anche per il progressivo invecchiamento della popolazione: avere più di 50 anni, oltre ad avere una storia familiare con altri casi, rappresenta uno dei maggiori fattori di rischio. Essendo due cause "inevitabili", cambiare stile di vita o fare interventi di sanità pubblica – spiegano gli esperti – non potrebbe comunque impedire l'aumento di casi previsto. Occorre piuttosto intervenire sulla diagnosi precoce.
Come modificare la diagnosi per migliorare la prevenzione
Il cancro alla prostata è già adesso uno dei tumori più comuni nella popolazione maschile. Rappresenta il 15% di tutti i tumori maschili ed è la seconda causa di mortalità per cancro in tutto il mondo, dopo il tumore ai polmoni. Sebbene il cancro alla prostata sia il tumore più frequente negli uomini in 112 Paesi al mondo, nella maggior parte di quelli ad alto reddito dalla metà degli anni '90 a oggi i decessi per cancro alla prostata sono diminuiti in modo significativo, anche grazie alle tecniche di screening applicate alla popolazione maschile. Queste si basano su un test particolare: il dosaggio del PSA, ovvero dell' antigene prostatico specifico.
Il dosaggio del PSA è un semplice esame del sangue, tuttavia non tutti i Paesi prevedono un programma di screening raccomandato – non c'è nemmeno in Italia – e anche laddove è previsto, potrebbe essere necessario rivalutare le modalità di esecuzione.
I limiti degli attuali programmi di screening
La Commissione del Lancet ha preso ad esame il caso del Regno Unito, dove si fa ricorso allo screening attraverso il dosaggio del PSA solo nel caso di uomini di età pari o superiore a 50 anni decidono di sottoporvisi dopo averne parlato con il proprio medico. Tuttavia, questo approccio – spiega la Commissione – potrebbe portare a un eccesso di test negli uomini anziani a basso rischio, senza però migliorare la diagnosi precoce negli uomini uomini più giovani a più alto rischio.
Tra questi rientrano ad esempio i soggetti con casi di cancro alla prostata in famiglia, quelli di origine africana e altri con particolari condizioni, come la presenza di una specifica mutazione genetica (la BRCA2). In queste categorie più a rischio, a prescindere dall'età, la raccomandazione della Commissione è quella di potenziare e rivedere le tecniche di screening, ad esempio affiancando al dosaggio del PSA un programma di controlli mirati attraverso la risonanza magnetica.