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Perché gli scienziati ora dicono che c’è un nesso tra Covid grave e microbiota intestinale

Uno studio pubblicato su Nature Immunology mostra che le forme gravi di Covid sono collegate all’eccessiva proliferazione di Candida albicans, uno dei microrganismi che normalmente vive nel nostro intestino.
A cura di Valeria Aiello
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L’eccessiva proliferazione di Candida albicans, uno dei microrganismi che normalmente vivono nel nostro intestino, è collegata allo sviluppo di forme più gravi di Covid. Lo ha scoperto un team di ricerca americano analizzando in che modo le variazioni del microbiota intestinale possono contribuire all’eccessiva risposta immunitaria osservata nei casi di Covid grave.

Precedenti ricerche avevano già suggerito un possibile contribuito dei microrganismi intestinali nell’infezione e nella gravità della malattia, ma il nuovo studio, pubblicato su Nature Immunology, ha mostrato che l’alterazione del microbiota intestinale e, in particolare, un aumento dei ceppi di Candida albicans, innesca un aumento dell’attività immunitaria, la cui azione può portare allo sviluppo di forme gravi di Covid.

I risultati dello studio hanno inoltre inoltre che i pazienti mantengono una risposta immunitaria e una memoria immunitaria rafforzate contro questi microrganismi, fino a un anno dopo la negativizzazione. Ciò è stato confermato anche in studi su modelli murini, nei quali i ricercatori hanno riscontrato il ruolo attivo di una proteina immunitaria, chiamata IL-6, che se bloccata farmacologicamente attenua tale memoria, determinando una diminuzione della risposta immunitaria.

Secondo l’autore senior dello studio, il dottor Iliyan Iliev del Jill Roberts Institute for Research in Inflammatory Bowel Disease della Cornell University d New York, la ricerca rivela una nuova dimensione della complessa patologia scatenata dalle forme gravi di Covid, aprendo la strada a nuove opportunità di identificazione dei pazienti a rischio di malattia grave e di sviluppo di strategia terapeutiche dirette al microbiota intestinale.

Potrebbe, ad esempio, fornire la possibilità di ridurre i rischi dell’infezione attraverso farmaci che modificano la composizione del microbioma o i cambiamenti immunologici dovuti all’eccessiva proliferazione di Candida albicans, anche se per arrivare a questa possibilità servirà molta più ricerca.

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