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Perché contro Omicron non possiamo contare sulla cura con anticorpi monoclonali

Prove di laboratorio mostrano che le attuali terapie a base di monoclonali di Eli Lilly e Regeneron perdono gran parte della loro efficacia contro la variante Omicron.
A cura di Valeria Aiello
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Da quando la variante Omicron (B.1.1.529) di Sars-Cov-2 è stata identificata, l’alto numero di mutazioni presente nel genoma del virus ha sollevato non poche preoccupazioni circa la sua capacità di sfuggire al riconoscimento degli anticorpi anti-Spike. Ma mentre un ciclo vaccinale a tre dosi sta mostrando di poter indurre una risposta in grado di neutralizzare la nuova variante, le cure con anticorpi monoclonali già approvate per l’uso clinico stanno dando prova di perdere gran parte della loro efficacia nei confronti di Omicron.

Parliamo in particolare degli anticorpi monoclonali sviluppati da Eli Lilly (bamlanivimab e etesevimab) e da Regeneron (casirivimab e imdevimab), dunque di due cocktail in uso anche in Italia per ridurre il rischio di ricovero e di morte nei pazienti Covid-19. “L’attività neutralizzante di diversi anticorpi monoclonali è fortemente influenzata contro la variante di Omicron e limiterà le opzioni di trattamento delle infezioni indotte da Omicron” hanno affermato i ricercatori che hanno testato la capacità di neutralizzazione di diversi cocktail anticorpali in laboratorio, pubblicando i loro risultati in articolo in preprint su MedRXiv.

Nello specifico, il cocktail di anticorpi di Eli Lilly non è riuscito a bloccare l’ingresso di Omicron nelle cellule, mentre il mix di Regeneron è risultato “inefficiente” nell’inibire la nuova variante. Un altro anticorpo monoclonale ancora in fase sperimentale, il sotrovimab di GlaxoSmithKline, ha invece mostrato di mantenere la sua attività contro il ceppo mutato.

Sia Eli Lilly sia Regeneron avevano già affermato di aspettarsi che l’efficacia delle loro combinazioni di anticorpi fosse inferiore nei confronti della variante Omicron, proprio per la presenza di un alto numero di mutazioni a livello della proteina Spike (oltre 30 di cui 15 riguardano specificatamente il dominio di legame al recettore (RBD), ovvero la porzione proteica che il virus sfrutta per legare l’ormai famoso recettore cellulare ACE2 e che è lo stesso dominio preso di mira dagli anticorpi monoclonali).

A causa dei cambiamenti contenuti nella proteina Spike della variante di preoccupazione Omicron, sembra che il bamlanivimab con etesevimab possa subire una ridotta attività di neutralizzazione” ha affermato un portavoce di Eli Lilly. Regeneron, d’altra parte, ha affermato che condividerà presto ulteriori dati da nuove analisi.

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