Perché ci reinfettiamo anche se siamo vaccinati e abbiamo già avuto il Covid
Omicron insieme alla sua crescente famiglia di sottovarianti sta portando in tanti a chiedersi se l’immunità acquisita attraverso la vaccinazione e/o una precedente infezione sia sufficiente a proteggersi da un virus in continua evoluzione. E soprattutto perché, man mano che emergono varianti in grado di eludere la risposta del nostro sistema immunitario, oltre ad essere possibile, il rischio di reinfezione è anche più probabile. La risposta a queste domande chiama in causa i livelli di suscettibilità alle nuove sottovarianti, in un panorama immunologico decisamente vario, con persone vaccinate, altre non vaccinate ma precedentemente infettate, e altre ancora che hanno una combinazione di vaccinazione e infezione. Il livello di rischio può dipendere anche da altri fattori, come l’età, le condizioni di salute sottostanti e il tempo trascorso dall’ultima vaccinazione o infezione. Se, ad esempio, una persona intorno ai 60 anni ha ricevuto una dose booster da quattro a sei mesi, sarà potenzialmente suscettibile a un’infezione da una delle varianti Omicron, ma se il tempo trascorso dalla somministrazione è modesto, il rischio può non essere così alto, come suggerito dai cosiddetti test di neutralizzazione, che forniscono agli scienziati informazioni circa la protezione dalle diverse varianti virali.
Restringendo la nostra analisi alle due sotto-varianti Omicron, BA.4 e BA.5, altamente trasmissibili e che stanno alimentando la recrudescenza della pandemia anche in Italia, dove attualmente il numero di contagi è 100 volte più alto rispetto a un anno fa, i ricercatori hanno indicato che le persone precedentemente infettate dalla variante Omicron originaria (B.1.1.529) – che di per sé ha mostrato un notevole potenziale nello sfuggire all’immunità mediata dagli anticorpi – sembrano non avere una buona protezione dalle infezioni causate da BA.4 e BA.5.
In altre parole, come mostrato in uno studio recentemente pubblicato su Nature, queste due sotto-varianti di Omicron possiedono una maggiore capacità di evasione immunitaria, ovvero sfuggono al riconoscimento da parte degli anticorpi sviluppati in seguito alla vaccinazione e precedenti infezioni. Questo perché, le mutazioni presenti nel loro genoma, specialmente a livello della proteina Spike che il virus utilizza per agganciare le cellule e penetrare al loro interno, sono tali da riuscire a “nascondere” i nuovi ceppi agli anticorpi dovuti a infezioni con altre varianti, vaccini o combinazioni di entrambi.
Il rischio di reinfezione con Omicron 4 e 5
A fornire una prima indicazione della misura in cui le persone vaccinate e non vaccinate, precedentemente infettate dal ceppo originario di Omicron, siano suscettibili all’infezione da BA.4 e BA.5, è stato il team di ricerca guidato da Alex Sigal, virologo dell’Africa Health Research Institute di Durban, in Sudafrica, dove le due sotto-varianti del coronavirus Sars-Cov-2 sono emerse inizialmente. In uno studio preliminare, pubblicato online sul server prestampa MedRxiv, i ricercatori hanno testato l’immunità neutralizzante nei confronti di BA.4 e BA.5 in 39 persone (15 vaccinate e 24 non vaccinate) precedentemente infettate dal ceppo originario di Omicron. In pratica, il team ha raccolto campioni di sangue di tutti i partecipanti dopo una media di circa 23 giorni dall’insorgenza dei sintomi, ovvero quando l’immunità neutralizzante sviluppata in seguito all’infezione da Omicron si era stabilizzata, e condotto un test di neutralizzazione in vitro con i virus BA.4 e BA.5 vivi per stimare in che misura gli anticorpi potessero combattere le nuove sotto-varianti.
I risultati del test hanno indicato che le sottovarianti sono state in grado di eludere gli anticorpi sia delle persone non vaccinate sia di quelle vaccinate, suggerendo che i due virus siano capaci di superare la prima linea di difesa del sistema immunitario e causare un’infezione. I dati hanno però anche mostrato alcune differenze notevoli tra vaccinati e non vaccinati: in particolare, i campioni di non-vaccinati hanno mostrato un calo di quasi otto volte della capacità di neutralizzazione contro BA.4 e BA.5 rispetto al ceppo di Omicron originario. Nei campioni raccolti dai soggetti vaccinati, la diminuzione è stata solo di tre volte.
Ciò non significa che le persone vaccinate e infettate da Omicron non abbiano una buona protezione contro le forme sintomatiche di Covid. Secondo gli studiosi, i risultati suggeriscono che queste persone possano effettivamente avere un’immunità più ampia nei confronti dei nuovi ceppi, per cui anche se vengono infettate “da questi nuovi lignaggi, generalmente la malattia sarà lieve” ha affermato Sigal. Improbabile, invece, che persone non vaccinate abbiano una buona protezione contro la malattia sintomatica.
Anche lo studio su Nature già menzionato ha confermato i risultati ottenuti dai ricercatori sudafricani, indicando che le sottovarianti di Omicron sono più resistenti agli anticorpi rispetto ai precedenti ceppi e potrebbero “porre ulteriori problemi alle persone vaccinate e/o infettate” ha affermato alla Nbc John Moore, professore di microbiologia e immunologia al Weill Cornell Medical College di New York, che non è stato coinvolto nello studio. “È un avvertimento per il futuro, in quanto vedremo un’evoluzione continua e l’emergere di altre varianti di preoccupazione – ha aggiunto Moore – . Saranno più trasmissibili o più resistenti agli anticorpi o entrambe le cose”.