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Perché alcuni ricordi sono più difficili da dimenticare

Un nuovo indizio su come il nostro cervello scelga cosa ricordare arriva da uno studio pubblicato sulla rivista Nature Human Behavior: ecco cosa hanno scoperto i ricercatori.
A cura di Valeria Aiello
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I ricordi sono un insieme strutturato di informazioni, esperienze e sensazioni che il nostro cervello conserva nell’ippocampo e in altre regioni cerebrali interconnesse: non tutti i ricordi diventano però “memorabili” e solo alcuni si consolidano, diventando forti e duraturi.

Un nuovo indizio su come il nostro cervello scelga cosa ricordare arriva da una ricerca dell’Università di Yale a New Haven (Connecticut, Stati Uniti) che ha esplorato il motivo per cui la gran parte di ciò che ricordiamo non sia frutto di una selezione intenzionale ma di una “scelta” che il cervello fa indipendentemente dalla nostra volontà. “La mente – dice il professor Ilker Yildirim dell’Università di Yale e autore senior dello studio – dà priorità al ricordo di cose che non è in grado di spiegare molto bene. Se una scena è prevedibile e non sorprendente, potrebbe essere ignorata”.

Perché alcuni ricordi non si dimenticano

I ricordi si formano dal flusso di esperienze che percepiamo attraverso i cinque sensi (vista, tatto, udito gusto e olfatto): il nostro cervello filtra queste informazioni sensoriali, fissandone alcune, che diventano “memorabili”, mentre la maggior parte viene scartata. Per capire cosa influenzi tale “scelta”, i ricercatori hanno sviluppato un modello computazionale che affrontava due fasi della formazione della memoria: la compressione dei segnali visivi e la loro ricostruzione.

Sulla base di questo modello, dettagliato in un articolo di ricerca appena pubblicato sulla rivista Nature Human Behavior, gli studiosi hanno quindi progettato una serie di esperimenti in cui a un gruppo di persone è stato chiesto di osservare alcune immagini della natura in rapida successione e, poco dopo, quali fossero le immagini che ricordavano.

Attraverso questo test, il team ha scoperto che le immagini ricordate più frequentemente erano le stesse che il modello computazionale ricostruiva con più difficoltà. In altre parole, quanto più era complesso per il modello computazionale ricostruire l’immagini, tanto maggiore era la probabilità che l’immagine fosse ricordata dai partecipanti.

Elaborare la complessità dell’immagine potrebbe quindi richiedere che il cervello attivi più percorsi neurali, influenzando la formazione del ricordo. Un meccanismo che potremmo spiegare immaginando, ad esempio, il passaggio di un gruppo di persone su una distesa d’erba. Più l’erba viene calpestata, più il sentiero diventa chiaro e facile da seguire, come se si fosse creata una sorta di “memoria” lungo il cammino. La stessa cosa potrebbe accadere nel cervello. Quanto più un percorso neurale viene attivato, tanto più forti diventano le connessioni sinaptiche lungo il percorso, per cui è più probabile che quell’esperienza si fissi nella memoria.

Abbiamo utilizzato un modello di intelligenza artificiale per cercare di far luce sulla percezione di immagini da parte delle persone – hanno aggiunto gli studiosi – . Questa comprensione potrebbe aiutarci nello sviluppo di sistemi di memoria per l’intelligenza artificiale più efficienti in futuro”.

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