Perché alcuni non si ammalano di Covid: svelato uno dei più grandi misteri della pandemia
Un nuovo studio ha svelato il motivo per cui alcune persone non si ammalano mai di Covid nonostante un'esposizione significativa al coronavirus SARS-CoV-2, facendo luce su uno dei più grandi misteri della pandemia. La maggior parte delle persone che ciascuno di noi conosce, de resto, negli ultimi anni si è infettata una o più volte con il patogeno pandemico. Ciò nonostante, alcuni “miracolati” sono rimasti sempre negativi dopo i tamponi oro-rinofaringei, anche vivendo a strettissimo contatto con chi si è ammalato. L'esempio classico è quello di un coppia sposata, in cui uno dei due coniugi ha contratto l'infezione mentre l'altro è sempre stato benissimo. Ora, finalmente, conosciamo il motivo di questa protezione. I ricercatori hanno infatti scoperto una serie di risposte immunitarie mai viste prima in persone deliberatamente infettate col SARS-CoV-2, nel contesto di un controverso esperimento chiamato UK COVID-19 Human Challenge.
A scoprire il motivo per cui alcune persone non si ammalano di Covid nonostante l'esposizione al virus è stato un team di ricerca internazionale guidato da scienziati britannici della Divisione di Medicina dello University College di Londra e del Wellcome MRC Cambridge Stem Cell Institute dell'Università di Cambridge, che hanno collaborato con i colleghi di diversi istituti. Fra quelli coinvolti il The Netherlands Cancer Institute di Amsterdam (Paesi Bassi); il Dipartimento di Malattie Infettive dell'Imperial College di Londra; la società hVivo e altri. I ricercatori, coordinati dai professori Marko Z. Nikolić, Sarah A. Teichmann e Rik G. H. Lindeboom, sono giunti alle loro conclusioni dopo aver hanno analizzato i preziosi dati ottenuti dai volontari dello studio UK COVID-19 Human Challenge, una ricerca guidata dall’Imperial College di Londra in cui 36 soggetti giovani e sani sono stati deliberatamente infettati con il coronavirus SARS-CoV-2, letteralmente infilato nelle narici attraverso una sorta di siringa. L'obiettivo era valutare nel modo più approfondito possibile la risposta del corpo umano all'esposizione di un patogeno sconosciuto.
È importante sottolineare che quando lo studio ebbe inizio non erano ancora disponibili i vaccini e la pandemia stava mietendo un numero significativo di vittime (ad oggi hanno perso la vita 8 milioni di persone e circa 800.000 risultano essere state infettate, dati ufficiali considerati un'ampia sottostima dagli esperti). Proprio per questo lo UK COVID-19 Human Challenge fu considerato un esperimento azzardato e controverso, condotto chiaramente con soli volontari temerari. Fra essi, in sedici sono stati seguiti approfonditamente dagli studiosi per verificare la risposta all'esposizione virale a livello di singola cellula, valutando la funzione delle cellule immunitarie attraverso l'analisi del sangue e di campioni della mucosa nasale. Dopo l'esposizione al virus, in sei hanno sviluppato sintomi lievi della COVID-19, altri tre sono andato incontro a un'infezione transitoria (risultando positivi a “corrente alternata” alla PCR), mentre in sette sono sempre rimasti negativi, pur avendo ricevuto il patogeno potenzialmente letale direttamente dentro al naso (dove è pieno di cellule sulle quali il SARS-CoV-2 può agganciarsi agevolmente).
Analizzando la risposta immunitaria di queste persone, il professor Nikolić e colleghi hanno fatto una scoperta molto interessante. In questi volontari si è infatti innescata una reazione immunitaria innata mai vista prima che ha eliminato il virus prima che potesse stabilizzarsi nella mucosa nasale e determinare l'infezione. È stato praticamente spazzato via dalle difese dell'organismo, ma senza attivare una risposta anticorpale. Attraverso il sequenziamento di centinaia di migliaia di singole cellule, i ricercatori hanno individuato un gene chiamato HLA-DQA2 che risultava particolarmente espresso nel sangue e nella mucosa nasale delle persone con questa risposta innata particolarmente efficace.
Poiché precedenti studi avevano associato questo gene a infezioni di Covid meno severe, gli esperti ritengono che possa essere proprio il ruolo di HLA-DQA2 a proteggere in modo così forte alcune persone esposte al virus. “Un'elevata espressione di HLA-DQA2 prima dell'inoculazione era associata alla prevenzione di infezioni prolungate. Le cellule ciliate hanno mostrato risposte immunitarie multiple e sono state le più permissive per la replicazione virale, mentre le cellule T nasofaringee e i macrofagi sono stati infettati in modo non produttivo”, hanno scritto gli scienziati nell'abstract dello studio.
Nelle persone protette dalla Covid si osservava anche un numero ridotto di globuli bianchi infiammatori coinvolti nella caccia e nella distruzione delle particelle virali, mentre in coloro che sviluppavano i sintomi della malattia, i ricercatori hanno rilevato una rapida risposta immunitaria dell'interferone nel sangue ma lenta nel naso, permettendo al virus di invadere la mucosa e scatenare i sintomi respiratori tipici della malattia. “Questi risultati gettano nuova luce sugli eventi cruciali iniziali che consentono al virus di prendere piede o di eliminarlo rapidamente prima che si sviluppino i sintomi. Ora abbiamo una comprensione molto maggiore dell’intera gamma delle risposte immunitarie, che potrebbe fornire una base per lo sviluppo di potenziali trattamenti e vaccini che imitano queste risposte protettive naturali”, ha dichiarato il professor Nikolić in un comunicato stampa. I dettagli della ricerca “Human SARS-CoV-2 challenge uncovers local and systemic response dynamics” sono stati pubblicati su Nature.