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“Pandemia di influenza aviaria è questione di tempo, mortalità fino al 50%”: l’allarme del virologo

Il dottor Robert Redfield, virologo ed ex direttore dei CDC, ha le idee chiare sui rischi del virus dell’influenza aviaria. Secondo l’esperto, infatti, una pandemia non è questione di se, ma di quando. Inoltre la mortalità dell’infezione potrebbe arrivare al 50%; ciò significa che il virus potrebbe uccidere una persona infetta su due. Una catastrofe molto peggiore della COVID-19.
A cura di Andrea Centini
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La pandemia di influenza aviaria non è questione di se, ma di quando. E ciò che preoccupa di più è che quando colpirà, avrà un impatto molto peggiore della COVID-19, con una mortalità che potrebbe essere compresa tra il 25 e il 50 percento. In pratica, il virus ucciderebbe una persona ogni quattro o addirittura ogni due infettati. Un'ecatombe. È questo, in estrema sintesi, il pensiero del dottor Robert Redfield, virologo ed ex direttore Centri per il controllo e la prevenzione delle malattie (CDC) rimasto in carica tra il 2018 e il 2021. Lo scienziato ha rilasciato una serie di interviste dopo l'annuncio del primo morto in Messico associato all'influenza aviaria, colpito dal ceppo H5N2. Non è però questo a preoccupare gli esperti, bensì l'H5N1, virus dell'influenza aviaria ad alta patogenicità (HPAI) che da alcuni anni sta mietendo milioni di morti tra gli uccelli selvatici e domestici.

Attualmente il rischio per l'essere umano è considerato basso dalle autorità sanitarie, perché il virus dell'influenza aviaria non è ritenuto “bravo” a infettare le persone, ma il patogeno continua a evolversi e a colpire un numero sempre maggiore di specie di mammiferi. Cani, gatti, volpi, mustelidi, orsi, pinnipedi e, più recentemente, anche bovini, con numerosi casi in decine di allevamenti degli Stati Uniti. È una novità che ha colto di sorpresa la comunità scientifica perché i virologi non ritenevano possibile che il virus dell'influenza aviaria potesse infettare le mucche. Come affermato a Fanpage.it dalla professoressa Ilaria Capua, questi animali erano considerati “resistenti”. Ma qualcosa deve essere cambiato nel virus e ha permesso anche questo salto di specie. Lo spillover, il salto di specie all'uomo, in realtà è già avvenuto da tempo; da quando il virus H5N1 è stato isolato per la prima volta nel 1996 in un allevamento di uccelli acquatici in Cina, ci sono stati circa 900 casi umani, con una mortalità del 50 percento, come evidenziato da un articolo della Scuola di Medicina dell'Università di Yale. Fortunatamente i tre casi associati ai bovini da latte sono stati generalmente lievi, anche se uno ha mostrato sintomi di un'infezione respiratoria acuta, come indicato dai CDC.

Il professor Scott Roberts, specialista di malattie infettive presso il prestigioso ateneo statunitense, ha dichiarato che il 50 percento di mortalità potrebbe essere una sovrastima, per via del fatto che molte persone potrebbero aver preso un'infezione senza sintomi o solo una forma lieve della malattia (paucisintomatica), passando “sotto traccia” e facendo impennare la mortalità del virus. Ciò che è certo, come affermato a Fanpage.it dalla professoressa Capua, è che questi virus aviari hanno già difficoltà a passare da un altro animale all'essere umano e sono ancora meno bravi a fare il passaggio da uomo a uomo, quindi si ribadisce il concetto di rischio basso nel prossimo futuro.

Ma come indicato il virus H5N1 continua a mutare ed evolversi, inoltre potrebbe essere favorito da un processo di riassortimento (in cui due virus danno vita a un nuovo patogeno con geni in comune) catalizzando il rischio pandemico. Secondo il dottor Robert Redfield , come già specificato, non è questione di se, ma di quando. “Penso davvero che sia molto probabile che prima o poi avremo una pandemia di influenza aviaria, non è una questione di se, è più una questione di quando avremo una pandemia di influenza aviaria”, ha affermato a NewsNation.

L'elemento che desta maggiore preoccupazione è proprio quello relativo alla mortalità, che potrebbe essere compresa tra il 25 e il 50 percento secondo lo scienziato statunitense. Per fare un paragone con la pandemia di COVID-19, prima della disponibilità dei vaccini secondo i CDC statunitensi si attestava all'1,7 percento. Con l'aviaria si rischia una vittima ogni quattro o due infettati, una strage che potrebbe ricordare la pandemia di influenza spagnola del 2018 (anch'essa scatenata da un virus aviario). Secondo gli esperti, il virus H5N1 per diventare bravo a infettare le persone e permettere la trasmissione da uomo a uomo dovrebbe subire delle mutazioni in cinque amminoacidi; ciò lo renderebbe capace di agganciarsi efficacemente al recettore sulle cellule umane. “Una volta che il virus acquisisce la capacità di attaccarsi al recettore umano e poi di passare da uomo a uomo, è allora che si avrà la pandemia. E come ho detto, penso che sia solo questione di tempo”, ha ribadito il dottor Redfield.

Al momento non c'è alcun rischio imminente, ma spostando lo sguardo ai prossimi anni e decenni, è chiaro che stia serpeggiando una certa apprensione almeno in una parte degli addetti ai lavori. Anche l'Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) ha parlato più volte di una futura pandemia. Contro l'aviaria si sta già cominciando a “mettere le mani avanti” producendo e ordinando le prime dosi di vaccino, il Seqirus, l'unico approvato per la prevenzione dell'aviaria zoonotica nell'Unione Europea. L'UE ha prenotato centinaia di migliaia di dosi destinate inizialmente alle categorie a rischio (veterinari, allevatori), mentre la Finlandia sta già pensando a una campagna per proteggere la popolazione vulnerabile. Il vaccino tradizionale viene sviluppato nelle uova di gallina e questo dettaglio, in presenza di una potenziale pandemia aviaria, potrebbe essere un problema; per questo si sta puntando molto sulla tecnologia a mRNA, quella che ha permesso di superare la fase più critica della pandemia di Covid.

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