Ora sappiamo qual è una possibile causa della schizofrenia
Un autoanticorpo, che prende di mira le cellule del proprio organismo, sembra poter essere il responsabile di alcuni casi di schizofrenia. Lo ha scoperto un team di ricerca della Tokyo Medical and Dental University, in Giappone, che ha identificato una proteina prodotta dal sistema immunitario che, invece di essere diretta verso elementi estranei all’organismo (non-self, come virus e batteri), riconosce e agisce erroneamente contro una sostanza dell’organismo stesso (self).
Questo autoanticorpo, nello specifico, è in grado di legare una molecola coinvolta nella comunicazione delle cellule cerebrali, chiamata NCAM1 (molecola di adesione delle cellule neurali), che aiuta le cellule del cervello a dialogare tra loro tramite connessioni specializzate, note come sinapsi, e può avere un ruolo nello sviluppo della schizofrenia. La condizione, caratterizzata dalla persistenza di sintomi di alternazione delle funzioni cognitive, percettive, del comportamento e dell’affettività, può presentarsi in modo diverso tra i pazienti ed è spesso difficile da trattare, ma la scoperta di questo autoanticorpo potrebbe aprire la strada a importanti miglioramenti nella diagnosi e allo sviluppo di nuovi approccio terapeutici.
Per verificare il coinvolgimento degli autoanticorpi contro la NCAM1 nello sviluppo della schizofrenia, i ricercatori hanno isolato queste proteine da alcuni pazienti con schizofrenia e deciso di iniettarle nel cervello dei topi, documentando il deterioramento cognitivo e i cambiamenti nella regolazione del riflesso del sussulto, entrambi osservati in altri modelli animali di schizofrenia. I topi con gli autoanticorpi contro NCAM1 avevano anche meno sinapsi e spine dendritiche, che sono strutture importanti per le connessioni tra le cellule cerebrali spesso colpite dalla schizofrenia.
I risultati del test, descritti in uno studio pubblicato Cell Report Medicine, sono stati “impressionanti” ha affermato Hidehiko Takahashi, autore senior della ricerca. “Anche se i topi avevano questi autoanticorpi nel cervello solo per un breve periodo, hanno mostravano cambiamenti nel comportamento e nelle sinapsi simili a quelli che si vedono negli esseri umani con schizofrenia – ha spiegato Takahashi – . Dato che la schizofrenia può presentarsi in modo molto diverso tra i pazienti ed è spesso resistente al trattamento, i risultati di questo studio sono promettenti”.
Sebbene siano necessari ulteriori studi clinici per confermare il ruolo patologico di questi autoanticorpi nella schizofrenia, la loro identificazione “è importante, perché possono fungere da biomarcatori che distinguono un sottogruppo di pazienti con schizofrenia – ha osservato il team di ricerca nello studio – . Inoltre, in questo sottogruppo di pazienti possono funzionare gli interventi immunologici come la plasmaferesi e la terapia con immunoglobuline, che sono solitamente usati per trattare l’encefalite da autoanticorpi”.