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Ora sappiamo che alcuni batteri possono difenderci dalle infezioni: da quali alimenti si ottengono

Dalla digestione delle fibre alcuni batteri buoni producono gli acidi grassi a catena corta, delle sostanze che, oltre ad avere una serie di effetti benefici sulla nostra salute, sembrano impedire la crescita di batteri nocivi. Questa scoperta suggerisce la possibilità di trovare metodi alternativi agli antibiotici nella cura delle infezioni.
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Sempre più studi stanno facendo emergere il ruolo fondamentale che il nostro microbiota intestinale, ovvero l'insieme dei batteri che abitano il nostro intestino, svolge per la nostra salute nel suo complesso, non solo per il corretto funzionamento del sistema gastrointestinale. Ora, una nuova ricerca ha rivelato che alcuni batteri possono perfino proteggerci da alcune infezioni, quelle causate da un ceppo batterico piuttosto frequente, gli Enterobatteri (o Enterobacteriaceae).

Si tratta di una famiglia di batteri spesso associati a infezioni intestinali, come enteriti o gastroenteriti. Il più comune, l'Escherichia coli, è normalmente presente in piccole quantità nel nostro intestino, ma quando prolifera superando una certa soglia, può diventare un problema, soprattutto se sono presenti alcuni ceppi più pericolosi, spesso responsabili di infezioni intestinali ed extra-intestinali.

Lo studio sul microbiota intestinale

È proprio dallo studio del microbiota intestinale che un gruppo di ricercatori dell'Università di Cambridge ha scoperto come alcuni batteri naturalmente presenti nel nostro intestino possono svolgere un'azione protettiva contro il rischio di infezione da Enterobatteri. Il loro studio si è basato sull'analisi di oltre 12.000 campioni di feci di persone provenienti da 45 paesi, anche se alcune regioni del mondo sono rimaste escluse. Da questi è stata ricostruita la composizione del microbiota intestinale dei partecipanti attraverso il sequenziamento del DNA: ne è emerso che i campioni in cui erano presenti gli Enterobatteri mostravano un microbiota completamente diverso da quello in cui questo ceppo era assente.

L'associazione era così forte che dalla flora batterica di un individuo è stato possibile predire la presenza di questo ceppo batterico con un grado di sicurezza dell'80%. "Questo ci ha mostrato che i tipi di batteri che popolano il nostro intestino – spiegano i ricercatori – sono strettamente legati al rischio che le specie dannose possano prendere il sopravvento".

Nello specifico, i ricercatori hanno visto che un gruppo di batteri, detti "co-colonizzatori", erano quasi sempre presenti nei campioni con Enterobatteri, mentre un altro gruppo era per lo più assente in presenza di quest'ultimi, motivo per cui sono stati rinominati "co-esclusori". Dall'analisi di questo secondo gruppo, che quindi sembrava svolgere una funzione antagonista rispetto agli Enterobatteri, è emerso il ruolo fondamentale di un batterio già noto per i suoi effetti benefici. Parliamo del Faecalibacterium, un microbo molto comune nell'intestino delle persone sane, tanto da essere considerato un biomarcatore della salute intestinale.

Gli effetti delle fibre sui batteri cattivi

I ricercatori dell'università inglese hanno visto come questo batterio favorisca la produzione di acidi grassi a catena corta dalla digestione delle fibre alimentari, soprattutto quelle solubili. Tra gli alimenti che le contengono ci sono i cereali, come l'avena o l'orzo, il riso integrale e la crusca, diversi legumi, ma anche molta frutta e verdura.

Queste sostanze sono fondamentali per l'equilibrio del microbiota intestinale e per la salute di tutto l'organismo, contrastando l'infiammazione – un altro recente studio le ha collegate alla riduzione del rischio di tumore – e ora sappiamo che possono anche impedire la crescita di batteri nocivi spesso associati a infezioni.

Questo studio, oltre a confermare il ruolo degli acidi a catena corta e quindi l'importanza di mangiare un elevato contenuto di vegetali ricchi di fibre, suggerisce – sostengono i ricercatori – la possibilità di trovare "nuovi modi per prevenire e curare le infezioni senza antibiotici".

"Ad esempio, invece di uccidere direttamente i batteri nocivi (con il rischio di danneggiare anche i batteri buoni), potremmo aumentare i co-esclusori o creare diete che supportano la loro crescita", spiegano i ricercatori. Un dato particolarmente importante se si considera che l'antibiotico-resistenza rappresenta una delle emergenze sanitarie attuali più allarmanti: si stima infatti che entro il 2050 i batteri resistenti agli antibiotici potrebbero causare più di dieci milioni di morti l'anno.

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