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Cambiamenti climatici

Oggi è la Giornata Internazionale dell’Orso Polare, il re di un mondo che sta morendo a causa nostra

Il 27 febbraio si celebra la Giornata Internazionale dell’Orso Polare, un evento che ci ricorda quanto drammatica e precaria è diventata l’esistenza per questi magnifici animali, condannati ad atroci sofferenze dall’avidità dell’uomo.
A cura di Andrea Centini
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Credit: Nima Sarikhani / People's Choice Award di Wildlife Photographer of the Year
Credit: Nima Sarikhani / People's Choice Award di Wildlife Photographer of the Year
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Oggi, martedì 27 febbraio 2024, ricorre la Giornata Internazionale dell'Orso Polare (International Polar Bear Day), un'occasione per sensibilizzare l'opinione pubblica sul drammatico impatto del cambiamento climatico su questa iconica specie. Il maestoso plantigrado, le cui popolazioni sono principalmente distribuite nella regione artica / circumpolare tra Alaska, Canada, Isole Svalbard e Russia, è infatti fortemente minacciato dalla progressiva e inarrestabile perdita del ghiaccio marino, che equivale letteralmente alla distruzione del suo habitat naturale. La durata e l'estensione delle piattaforme di ghiaccio marino, del resto, sono crollate sensibilmente negli ultimi decenni e continuano a diminuire, rendendo la vita per questi meravigliosi animali un vero e proprio incubo.

Una delle principali conseguenze dello scioglimento del ghiaccio è la difficoltà per gli orsi polari (Ursus maritimus) di andare a caccia delle proprie prede preferite, le foche, costringendoli a viaggi sempre più lunghi – e a estenuanti nuotate – per raggiungere le fonti di cibo. Questo notevole dispendio di energia ha un impatto particolarmente significativo sulle femmine con piccoli, che non riescono più a produrre latte a sufficienza – o di qualità – per sfamare i propri figli. Nei casi più estremi le madri sono costrette a scegliere se preservare le riserve e salvarsi (condannando i piccoli) oppure sacrificare se stesse per continuare ad alimentarli, fino alla fine. È quanto emerso da un recente studio guidato dalla professoressa Louise Archer dell'Università di Toronto Scarborough, che ha collaborato con colleghi dell'Alaska Science Center di Anchorage e dell'Università di Toronto. Secondo i ricercatori, il calo del latte materno ricco di grassi causato dalla riduzione del ghiaccio sarebbe tra i responsabili del crollo della popolazione di orsi polari nell'area occidentale della Baia di Hudson (Canada), dimezzata rispetto ad alcuni decenni fa.

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La carenza del ghiaccio rende anche più difficile l'incontro tra potenziali partner e la possibilità di trovare tane valide dove partorire e allevare i cuccioli nei primi mesi di vita. La mancanza di cibo, inoltre, rende anche più aggressivi i grossi maschi affamati, che possono trasformarsi in un pericolo significativo per le femmine con i cuccioli. Che la fame sia diventata un enorme problema per gli orsi polari è stato ben evidenziato in una recente indagine condotta nel Parco nazionale Wapusk (Canada) da scienziati dello US Geological Survey – Alaska Science Center. I ricercatori hanno seguito per tre anni con radiocollari dotati di videocamera 20 esemplari durante l'estate artica, evidenziando che 19 di essi hanno perso peso. Gli animali affamati sono stati visti mentre rosicchiavano i palchi dei caribù, fare incetta di bacche e divorare carcasse di uccelli, un rischio enorme a causa dell'influenza aviaria H5N1 ad alta patogenicità, che ha recentemente ucciso il primo orso polare in Alaska. Nonostante il riposo prolungato e le (poche) proteine ingerite attraverso queste fonti alternative, la perdita di peso è stata significativa per la quasi totalità degli animali studiati: la media è stata di 1 chilogrammo in meno al giorno.

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Poiché a causa del riscaldamento globale il ghiaccio marino continuerà a ridursi nei prossimi anni, i giorni privi del candido manto – e quindi di digiuno – continueranno ad aumentare inesorabilmente, fino a diventare insostenibili per le popolazioni di orsi polari residue, che saranno condannate all'inevitabile estinzione. Secondo uno studio del WWF, entro il 2060 circa il 30 percento delle popolazioni di questi animali (ce ne sono 19) rischia di sparire. Ma con l'attuale curva di riscaldamento gli esiti potrebbero essere ancora più catastrofici. Una ricerca dell'Università di Toronto dell'Università di Toronto – Scarborough prevede infatti l'estinzione della specie entro il 2100. Con un riscaldamento di 3,3 °C (al momento siamo proiettati verso i 2,7 °C), secondo gli esperti, non ci sarà più la possibilità di procurarsi cibo per i piccoli. E una popolazione senza cuccioli è una sentenza di condanna alla scomparsa.

L'orso polare è classificato come Vulnerabile (Codice Vu) nella Lista Rossa dell'Unione Internazionale per la Conservazione della Natura (IUCN), ma non ci sono stime precise sul numero di esemplari attualmente presenti. Si stima che ad oggi ne vivano tra i 22.000 e i 30.000. Se riusciremo a contenere le emissioni di CO2 e altri gas a effetto serra c'è la speranza che la specie possa riprendersi e prosperare in futuro, ma se non faremo nulla per combattere l'impatto dei combustibili fossili condanneremo questi e molti animali all'estinzione, oltre a provocare “sofferenze indicibili” a noi stessi. Un simbolo della precarietà della vita degli orsi polari è la meravigliosa foto “Ice Bed” del fotografo naturalista Nima Sarikhani, nella quale un esemplare è immortalato mentre riposa delicatamente su un piccolo iceberg alla deriva. È una scialuppa di salvataggio in un mondo destinato a sparire a causa nostra.

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