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Si chiude la stagione di caccia e gli animali possono tirare un sospiro di sollievo (ma non troppo)

La stagione venatoria 2023/2024 si è chiusa mercoledì 31 gennaio. Molti animali potranno sopravvivere in pace fino alla riapertura della caccia, ma per tanti altri l’incubo è continuo.
A cura di Andrea Centini
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Il 31 gennaio 2024 si è chiusa formalmente la stagione della caccia avviata la terza domenica di settembre del 2023. In pratica, si abbassa la saracinesca sul classico calendario venatorio ufficiale, la fine del terrore per un numero imprecisato ma sicuramente significativo di animali, che avranno la possibilità di sopravvivere fino alle prossime schioppettate. Come indicato dalla Lega Anti Vivisezione (LAV) in un comunicato stampa, è impossibile determinare il numero esatto di animali ammazzati durante la stagione della caccia, ma la stima è di decine di milioni di esemplari, “uccisi per soddisfare il sanguinario passatempo di una risicata minoranza di cittadini”, evidenzia l'associazione.

A rendere particolarmente amara e ancor più insopportabile questa mattanza, già di per sé crudele e anacronistica, il fatto è che a finire sotto i colpi di fucile dei cacciatori italiani – circa 450.000 secondo le stime – vi sono anche specie che andrebbero rigorosamente protette, tutelate. A fare il drammatico elenco in un post su Facebook il presidente generale della Lega Italiana Protezione Uccelli (LIPU) Danilo Selvaggi. Tra le specie cacciabili in Italia ce ne sono 20 che si trovano in cattivo stato di conservazione e senza piani di gestione (o con piani inattuati, spiega Selvaggi), mentre altre 20 vengono abbattute oltre il limite consentito. Tra quelle cacciabili incluse nell'elenco Spec (Specie Europee di Interesse Conservazionistico) messo a punto da BirdLife International figurano allodola, moriglione, pernice rossa, combattente, tortora selvatica, pavoncella (mostrata anche nel post di Selvaggi) e molte altre ancora.

Se ciò non bastasse, il presidente della LIPU sottolinea che in Italia non vengono attuate almeno quattro “misure rilevanti” del Piano nazionale antibracconaggio, che aiuterebbero almeno a contenere la strage nella strage. In Italia, nella provincia di Brescia, si trova quello che gli esperti considerano un vero e proprio buco nero della caccia di frodo per l'intera Europa, dato che qui viene sterminato un numero impressionante di animali. Selvaggi sottolinea anche che sussiste una “pressoché totale assenza di raccolta ed elaborazione dei dati circa l'impatto della caccia sulla biodiversità” e che l'Italia ha commesso o sta commettendo “almeno cinque infrazioni alla Direttiva Uccelli”. È una situazione drammatica, inconcepibile per un Paese che si definisce civile, che si indigna e solleva polveroni mediatici per molto meno.

Con l'odierna chiusura del tradizionale calendario venatorio conforta sapere che almeno alcuni animali potranno ritrovare un po' di pace. Ma non succederà per tutti. Sì perché in Italia, come affermato dalla LAV, ci troviamo oramai in un “regime di caccia permanente”. Il riferimento è al famigerato emendamento approvato dalla Commissione Bilancio della Camera, soprannominato "caccia selvaggia". Con esso, infatti, non solo sarà possibile cacciare la fauna selvatica in aree dove precedentemente era vietato, “comprese le aree protette e le aree urbane”, ma si potranno ammazzare gli animali anche “nei giorni di silenzio venatorio e nei periodi di divieto”. Tra le principali vittime dei cosiddetti "bioregolatori" vi sono i cinghiali, dei quali se ne stima una vera e propria ecatombe per il 2024. Si stima che ne saranno uccisi oltre 600.000 esemplari, abbattuti a colpi di fucile o infilzati dalle frecce scagliate con gli archi, per rendere questa pratica ancor più barbara, sanguinaria e anacronistica. La LAV indica che saranno uccise anche decine di migliaia di volpi, gazze, cornacchie e ghiandaie.

Se ciò non bastasse, il futuro per la fauna selvatica appare ancor più incerto e nebuloso, a causa di decisioni inquietanti. Il ministro dell’agricoltura ha infatti costituito il Comitato Tecnico Faunistico Venatorio, che, in base a quanto indicato dalla LAV, è stato successivamente parificato all’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (ISPRA) nella valutazione dell'impatto dei calendari venatori. C'è una grossa differenza con l'ente scientifico: dei 17 componenti che compongono il comitato solo uno è uno scienziato, mentre in sei arrivano dal mondo agricolo e venatorio. Inoltre si vogliono istituire delle figure legali chiamate “osservatori faunistici regionali” che esautorerebbero ancora di più la scienza nella possibilità di valutare i piani di gestione della fauna selvatica. E chi meglio di zoologi, ecologi e altri esperti di animali può determinare lo stato di conservazione di una specie? Tutte le decisioni sembrano orientate a favorire la caccia e i cacciatori, mentre gli animali selvatici continuano a soffrire e soccombere per mano dell'uomo, che li colpisce non solo con i pallini, ma anche col cambiamento climatico, pesticidi, inquinamento e distruzione dell'habitat naturale.

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