Nuovo studio smonta la cannabis come antidolorifico: poche prove e rischio effetti collaterali
Secondo un approfondito studio di revisione condotto negli Stati Uniti la cannabis non sarebbe affatto un buon antidolorifico, come invece viene pubblicizzato da tempo dai consumatori. Le evidenze scientifiche sulle proprietà analgesiche sono infatti poche e limitate: solo una parte dei prodotti contenenti i principi attivi – il cannabidiolo (CBD) e il delta-9-tetraidrocannabinolo (THC) – garantisce risultati a breve termine, ma al netto di significativi effetti collaterali. Per i risultati a lungo termine, semplicemente, mancano i dati. Secondo gli autori dello studio la carenza di dati, gli errori nella metodologia e altre imprecisioni affossano una fetta importante delle ricerche dedicate alle proprietà antidolorifiche della cannabis, la cui capacità di lenire il dolore sarebbe ancora tutta da dimostrare.
A determinare che la cannabis non è un buon antidolorifico è stato un team di ricerca statunitense guidato da scienziati Dipartimento di informatica medica ed epidemiologia clinica della Oregon Health & Science University di Portland, che hanno collaborato a stretto contatto con i colleghi del Dipartimento di Psichiatria e del Portland VA Health Care System. Gli scienziati, coordinati dalla professoressa Marian S. McDonagh, docente presso la Scuola di Medicina dell'ateneo americano, sono giunti alle loro conclusioni dopo aver analizzato migliaia di studi sull'efficacia terapeutica della cannabis. Tra tutti quelli vagliati, solo in 25 avevano i criteri per essere inclusi nella revisione sistematica, ovvero 18 trial clinici randomizzati e controllati con placebo (il “gold standard” della ricerca scientifica) e 7 studi di osservazione / coorte della durata uguale o superiore a un mese. Gli studi in lingua inglese, effettuati in tutto il mondo, hanno coinvolto in tutto poco meno di 15mila persone, delle quali 1740 legate ai trial randomizzati e 13.095 a quelli di coorte. Circa la metà dei pazienti soffriva di dolore neuropatico – come la neuropatia diabetica legata a danni ai nervi periferici – e la percentuale di donne oscillava dal 3 all'89 percento in base all'indagine. Le ricerche erano in genere di breve durata, abbracciando un arco temporale compreso tra 1 e 6 mesi.
Ai partecipanti è stato chiesto di valutare il proprio dolore in diverse fasi del trattamento, ovvero prima, durante e dopo l'assunzione della cannabis terapeutica, i cui prodotti (sintetici, estratti, vegetali interi etc etc) sono stati suddivisi in tre categorie principali in base al rapporto delle concentrazioni tra THC e CBD: con rapporti THC/CBD elevati, ovvero con oltre il 98 percento di THC; con rapporti THC/CBD comparabili; e CBD elevati. Incrociando tutti i dati è emerso che i prodotti sintetici con THC elevato possono migliorare moderatamente la gravità del dolore (30 percento), ma sono associati a un significativo aumento di sedazione e forti giramenti di testa. I prodotti estratti con rapporti THC/CBD elevati (da 3:1 a 47:1) sono invece associati a un forte rischio di sospensione della terapia, “a causa di eventi avversi e vertigini”, si legge nell'abstract dello studio. Mentre gli spray sublinguali con un rapporto paragonabile tra i livelli di THC e CBD sono probabilmente associati “a un piccolo miglioramento della gravità del dolore”, ma con un grande aumento nel rischio di sviluppare vertigini e sedazione, oltre a quello moderato di nausea. L'uso della pianta di cannabis (vegetale intero) e degli oli basati sul CBD non hanno evidenziato alcun beneficio statisticamente significativo sul sollievo dal dolore, inoltre i risultati degli studi erano minati da limiti nella metodologia, nella raccolta dei dati (come il dosaggio) e nella valutazione degli effetti collaterali. In linea di principio, solo i prodotti con più THC hanno fornito benefici, ma a breve termine e con significativi effetti collaterali.
“In generale, la quantità limitata di prove ha sorpreso tutti noi”, ha dichiarato in un comunicato stampa l'autrice principale dello studio. “Con così tanto clamore intorno ai prodotti correlati alla cannabis e la facile disponibilità di marijuana ricreativa e terapeutica in molti stati, consumatori e pazienti potrebbero presumere che ci siano più prove sui benefici e sugli effetti collaterali. Purtroppo, ci sono pochissime ricerche scientificamente valide sulla maggior parte di questi prodotti. Abbiamo visto solo un piccolo gruppo di studi di coorte osservazionali sui prodotti a base di cannabis che sarebbero facilmente disponibili negli stati che lo consentono, e questi non sono stati progettati per rispondere alle domande importanti sul trattamento del dolore cronico”, ha chiosato la scienziata. Non si tratta dunque di una bocciatura su tutta la linea, ma c'è sicuramente necessità di studi più approfonditi per sapere quali sono i prodotti a base di cannabis davvero efficaci contro il dolore e quanto lo sono. Del resto i principi attivi della cannabis imitano il sistema endocannabinoide del nostro organismo che gioca un ruolo attivo nella sensazione del dolore, ma gli effetti dei prodotti devono essere scientificamente dimostrati e non solo pubblicizzati. I dettagli della ricerca “Cannabis-Based Products for Chronic Pain” sono stati pubblicati sulla rivista scientifica Annals of Internal Medicine.