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Nuovo Codice della strada: perché l’uso di farmaci può essere un problema per i test antidroga

Una delle modifiche più controverse apportate dal nuovo Codice della strada riguarda i test tossicologici. L’eliminazione dell’indicazione della presenza di uno stato di alterazione psicofisica apre infatti alcuni problemi: per alcuni le novità non sarebbero così impattanti, per altri invece la nuova legge potrebbe essere perfino anticostituzionale.
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Tra le novità introdotte dal nuovo Codice della strada, approvato in Senato il 20 novembre, una più di tutti ha generato dubbi e critiche. Parliamo delle modifiche applicate alle disposizioni attuali sui test antidroga previsti nel vecchio articolo 187, che secondo i pareri più critici del nuovo codice della strada, renderebbero la nuova legge anticostituzionale.

In sostanza, mentre il vecchio codice della strada prevedeva la revoca della patente, in caso di "guida in stato di alterazione psicofisica per uso di sostanza stupefacenti", le modifiche eliminano l'indicazione della presenza dello "stato di alterazione psicofisica". Questo potrebbe quindi implicare che qualsiasi persona, indipendentemente dalla sua condotta, potrebbe essere sottoposta a un test salivare antidroga.

I dubbi sui test antidroga salivari

Ora, queste modifiche hanno sollevato molte domande e acceso un forte dibattito. Sono infatti in molti ad avere individuato delle evidenti contraddizioni. Il punto toccato da molti riguarda l'affidabilità, nonché la stessa natura, dei test antidroga. Oltre a poter rintracciare la presenza di stupefacenti anche a distanza di giorni dall'effettiva assunzione, quando quindi l'effetto sul corpo è ormai completamente svanito, a volte possono dare luogo a falsi positivi.

In attesa dell'entrata in vigore del nuovo testo, per fare chiarezza su questo tema complesso Fanpage.it ha contatto due esperti: l'avvocato Alessandro Minin, responsabile del dipartimento di responsabilità civile e grave infortunistica stradale di A.L. Assistenza legale, e la professoressa Sabina Strano Rossi, socia della Società Italiana di Tossicologia (Sitox) e presidente dei tossicologi forensi.

Il rischio di falsi positivi

Come spiega un'autorevole fonte di informazione medica, il Manuale Msd, i test tossicologici utilizzati in attività di screening per accertare il consumo di sostanze stupefacenti possono infatti dare luogo a falsi positivi, ovvero risultati positivi anche in assenza di un effettivo consumo da parte della persona, per effetto di alcuni alimenti (come i semi di papavero per gli oppiacei) o di alcuni farmaci, anche tra quelli da banco. Ad esempio, la pseudoefedrina, ovvero il principio attivo utilizzato nei farmaci per le riniti allergiche o il raffreddore, gli antidepressivi triciclici, e la quetiapina (una dibenzotiazepina) possono produrre risultati falsi positivi per le anfetamine. Mentre l'ibuprofene, uno degli antidolorifici più spesso usati, può dare un falso positivo per la marijuana.

Cosa cambia rispetto al vecchio codice

"I test di screening per loro natura – spiega la professoressa Strano Rossi – sono preliminari e possono dare infatti falsi positivi, anche in caso di assunzione di farmaci, per questo è sempre necessario  ricorrere al test di conferma – che dovrebbe essere effettuato entro dieci giorni su un’altra aliquota di campione salivare prelevata contestualmente a quella utilizzata per lo screening o su campione di sangue – attraverso metodiche analitiche con valore probatorio che identificano con certezza la sostanza, eliminando in questo modo qualsiasi rischio di falsi positivi". Rispetto al vecchio codice – prosegue la professoressa – "gli accertamenti restano nella sostanza gli stessi effettuati finora, con alcune modifiche, pene e sanzioni inasprite, soprattutto per i recidivi".

Non tutti però sono d'accordo con questo punto di vista: "È vero – spiega Minin – i falsi positivi potevano verificarsi anche prima. Ma la differenza principale riguarda il fatto che adesso chiunque può essere sottoposto al test, anche qualora non ci sia nessun tratto – i cosiddetti indici sintomatici – come l’eloquio fluente o l’agitazione psicomotoria, che possa far sospettare un consumo di sostanze da parte del conducente e quindi una sua pericolosità effettiva alla guida".

Come funzionano i test

Sebbene i test salivari siano gli stessi, secondo chi si oppone al nuovo Codice della strada ciò non toglie che le modifiche apportate all'articolo 187 aprono un problema di costituzionalità. "Con questa legge – spiega Minin – si elimina il nesso di causa tra l’utilizzo della sostanza e la capacità di guidare, ovvero la differenza primaria tra l’essere alla guida in uno stato di alterazione per effetto di sostanze e l’aver fatto uso di sostanze".

In molti hanno sollevato infarti il dubbio che questi test siano in grado di rilevare la presenza di sostanze stupefacenti anche quando l'assunzione si è verificata giorni o perfino settimane prima dall'effettivo momento in cui si è alla guida. "Se ad esempio per smaltire la cocaina il corpo impiega in media tre giorni, la cannabis può essere rintracciata anche dopo un mese dall’effettiva assunzione", aggiunge Minin.

Tuttavia, secondo la professoressa Strano Rossi "riguardo il fatto che i test possano rilevare tracce di stupefacenti per giorni dopo l’assunzione, questo è vero per le urine, che infatti non possono essere da sole utilizzate per attestare la guida sotto l’effetto di stupefacenti, ma non per il fluido orale, che rispecchia i tempi di comparsa/scomparsa delle sostanze dal sangue. La letteratura scientifica è ben chiara sulla questione: la presenza di uno stupefacente nel sangue, e quindi anche nella saliva quale ultrafiltrato del sangue, indica che la sostanza in quel momento può esplicare la sua attività, e quindi che l’individuo è sotto l’effetto della sostanza con uno stato di alterazione più o meno evidente a seconda dell’individuo".

La Federazione italiana delle operatori dei dipartimenti e dei servizi delle dipendenze spiega che "i tempi di permanenza delle sostanze stupefacenti nella saliva per la cocaina e oppiacei è stata anche di 96 ore per i casi di THC si è riscontrato anche dopo 48 ore dal con­sumo".

Perché per alcuni la nuova legge è incostituzionale

Continua l'avvocato Minin: "Secondo la mia personale convinzione, la norma come appare oggi è incostituzionale. Per diversi motivi: questo tipo di approccio non ha riscontri in dati oggettivi date le statistiche sulle principali cause degli incidenti stradali". Minin cita i dati: "Solo lo 0,1% di tutte le contravvenzioni nel 2023, tolte quelle per il divieto di sosta, è dovuto alla guida sotto effetto di stupefacenti, lo 0,5% alla guida in stato di ebbrezza. Fatte queste premesse, ritengo che questa legge, più che rispondere alla ratio legis, ovvero la sicurezza alla guida, abbia soprattutto finalità propagandistiche". D'altra parte Strano Rossi ritiene invece che "le modifiche al codice della strada riguardo l’uso di alcol e stupefacenti alla guida, come già nella versione attualmente in vigore, siano volte alla sicurezza e salvaguardia di tutti gli utenti della strada".

Il diverso trattamento riservato all'alcol

Un altro problema rispetto a questo nuovo approccio risiederebbe nella differenza di trattamento riservato al consumo di alcol, che pure viene sanzionato – prosegue nelle sue argomentazioni Minin – più spesso di quanto accada con le sostanze stupefacenti. "È come se ogni volta che sono alla guida potessi essere fermato, sottoposto a test, con conseguente sospensione della patente, perché una settimana prima ho bevuto una bottiglia a casa mia senza essermi messo al volante. Non credo che questa diversità della disciplina possa essere ammissibile. Inoltre, mentre per il consumo di alcol, sotto la soglia dello 0,5 g/l si rimane nella sanzione amministrativa, e solo oltre si entra nel penale, con il nuovo codice si racchiude nella sfera del penale tutta una serie di comportamenti che non ci rientrano".

Cosa cambia per chi fa uso di farmaci a base di cannabis

Un altro tema sollevato riguarda le possibili conseguenze che queste modifiche potrebbero avere su chi assume medicinali a base di cannabis dietro prescrizione medica, ad esempio per trattare il dolore causato da alcune patologie o condizioni di salute.

In questi casi la legge disciplina il “consumo abituale di medicinali”, per distinguere la fattispecie dell’assunzione di cannabis correlata ad una motivazione terapeutica da quella di “uso di sostanze psicotrope o stupefacenti”. Sebbene quindi la legge stabilisca che la patente non possa essere né rilasciata né rinnovata al colui "che abusi o faccia uso abituale di qualsiasi medicinale o associazione di medicinali nel caso in cui la quantità assunta sia tale da avere influenza sull’abilità alla guida”. Dall’altra rimette alla Commissione Medica Locale la valutazione dei requisiti di idoneità psicofisica necessari per guidare e ottenere.

Il diritto alla liberà di movimento è in pericolo?

Secondo alcuni la nuova legge metterebbe in conflitto il diritto alla salute con quello di muoversi liberamente di chi la patente l'ha ottenuta perché ritenuto idoneo, pur assumendo questo tipo di farmaci. Da una parte "è importante ricordare – spiega Strano Rossi – che anche prima dell’introduzione del nuovo codice, in caso di test antidroga, la persona sarebbe risultata positiva, con conseguente ritiro della patente. Tuttavia, con queste modifiche, è prevista anche la revoca della patente. Comunque già attualmente sono le Commissioni Mediche Locali a valutare caso per caso, e sono pochi i casi in cui le persone in cura con questo tipo di farmaci sono ritenuti idonei alla guida".

Tuttavia, anche su questo eventuale scenario ci sono diverse pareri. La legge infatti non è stata ancora introdotta e, come spiega Minin, non sappiamo esattamente come verrà interpretata: “Capisco chi ha sollevato anche questo punto. Qualora una persona che assume farmaci a base di cannabis perché prescrittigli dal medico venisse sottoposta al test salivare, per prima cosa le verrebbe sospesa la patente, poi dovrebbe iniziare una “battaglia” per dimostrare la ragione dell’utilizzo delle sostanze, sebbene si tratti di una ragione lecita, già confermata da un medico e ammessa in qualsiasi farmacia di Italia a determinate circostanze. Certo, è vero, parliamo di pochi casi, ma questo paradosso rende evidente quanto questa legge non risponda certo a esigenze di sicurezza".

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