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Covid 19

Nuova luce sul mistero dell’origine della Covid: trovati gli animali del possibile spillover all’uomo

Dall’analisi dei dati genetici di centinaia di campioni biologici prelevati al mercato umido di Huanan, cui sono legati i primi casi di COVID-19 a Wuhan (Cina), i ricercatori hanno identificato gli animali in cui probabilmente circolava il coronavirus SARS-CoV-2, il virus responsabile della pandemia. Così si sarebbe verificato lo spillover.
A cura di Andrea Centini
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Un cane procione in gabbia. Credit: iStock
Un cane procione in gabbia. Credit: iStock
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Sembra ieri, ma sono trascorsi quasi cinque anni da quando dalla Cina iniziarono a giungere le notizie di una “misteriosa polmonite” circolante tra i cittadini di Wuhan, nella provincia dello Hubei. I primi casi si concentravano in particolar modo tra coloro che avevano frequentato il famigerato mercato ittico di Huanan, in realtà un mercato umido dove venivano venduti e macellati anche mammiferi e altri animali selvatici catturati in natura. Era il preludio della catastrofica pandemia di COVID-19, annunciata nel marzo del 2020 dall'Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) e che ad oggi, in base alla mappa interattiva messa a punto dal Center for Systems Science and Engineering (CSSE) della Johns Hopkins University (JHU), ha provocato la morte di circa 6,9 milioni di persone e il contagio di quasi 800 milioni. Numeri enormi, ma in realtà considerati un'ampia sottostima di quelli reali.

Sin dapprincipio gli esperti immaginarono che il coronavirus SARS-CoV-2, il patogeno responsabile della pandemia, avesse compiuto lo spillover (salto di specie all'uomo) dagli animali intrappolati in quel macello a cielo aperto di Wuhan. Ciò nonostante, la presenza del Wuhan Institute of Virology (WIV) – un importante laboratorio di biosicurezza di livello 4 in cui si studiano i coronavirus – ha suggerito che il virus potesse essere in qualche modo sfuggito di mano agli scienziati, innescando la tragedia di livello globale che tutti noi abbiamo vissuto negli ultimi anni. Al netto delle speculazioni e dei facili complottismi, l'ipotesi più probabile è sempre stata quella dello spillover al mercato di Huanan. Diversi studi hanno già evidenziato che proprio quello fosse l'epicentro dell'origine della pandemia di Covid, in particolar modo le bancarelle del lato sudoccidentale. Uno studio appena pubblicato non solo ha suffragato questa ipotesi, ma anche individuato le specie presenti nel mercato più fortemente associate al virus, giungendo alla conclusione che proprio da uno o più di questi (incolpevoli) animali il SARS-CoV-2 sarebbe passato alle persone, dando il via all'incubo pandemico.

A condurre il nuovo studio è stato un team di ricerca internazionale guidato da scienziati francesi del Centro nazionale francese per la ricerca scientifica (CNRS) dell'Università Sorbona di Parigi, che che hanno collaborato a stretto contatto con i colleghi di diversi istituti. Fra quelli coinvolti il Dipartimento di Ecologia e Biologia Evolutiva dell'Università dell'Arizona; il Dipartimento di immunologia e microbiologia del The Scripps Research Institute di La Jolla (Stati Uniti); l'Università del Saskatchewan (Canada); l'Istituto di ecologia ed evoluzione dell'Università di Edimburgo (Regno Unito); l'Università NOVA di Lisbona (Portogallo); l'Imperial College di Londra e molti altri. I ricercatori, coordinati dalla professoressa Florence Débarre dell'Istituto di Ecologia e Scienze Ambientali del CNRS, sono giunti alle loro conclusioni dopo aver analizzato i dati di una precedente ricerca condotta da scienziati del Centro cinese per il controllo e la prevenzione delle malattie (CDC), che si recarono al mercato di Huanan a Capodanno del 2020 e nei giorni successivi per raccogliere campioni biologici da gabbie, pavimenti, superfici di bancarelle, carrelli per spostare gli animali, fogne e altre superfici del mercato. Gli animali erano già stati portati via, ma i ricercatori erano certi di poter ottenere comunque informazioni preziose sul virus all'epoca misterioso, così raccolsero ben 800 di questi campioni. “Si tratta di uno dei set di dati più importanti esistenti sull'origine della pandemia di COVID-19”, ha dichiarato in un comunicato stampa la professoressa Débarre.

Grazie ai dati dei colleghi cinesi, fortunatamente caricati in un database pubblico, gli autori del nuovo studio hanno analizzato i genomi mitocondriali rilevati nei campioni, identificando così le specie animali presenti al mercato nel momento dello scoppio della pandemia. Tra essi figuravano il cane procione comune o nittereute (Nyctereutes procyonoides) e la civetta delle palme mascherata (Paguma larvata), due specie di mammiferi molto significative perché già associate all'epidemia di SARS, oltre a essere risultate particolarmente suscettibili all'infezione da SARS-CoV-2. È verosimile immaginare che questi animali fossero portatori del virus – magari acquisito dai pipistrelli – che nel mercato lo hanno trasmesso alle persone che li ammazzavano o compravano per la loro carne.

In alcuni casi il materiale genetico di questi animali è stato trovato sullo stesso tampone in cui erano presenti i campioni virali del SARS-CoV-2. Queste informazioni non possono dirci se quegli animali fossero effettivamente infettati dal patogeno pandemico, ma le circostanze e gli eventi pregressi suggeriscono fortemente di sì. “Questo è ciò che ci si aspetterebbe in uno scenario in cui ci fossero animali infetti al mercato”, ha spiegato la professoressa Débarre. Il materiale genetico del cane procione era quello più abbondante in assoluto fra quelli rilevati, ma sono stati identificati anche i genomi del ratto del bambù canuto, del porcospino malese e moltissime altre specie, che lì venivano uccise e messe in vendita.

Molti di questi animali sono naturali portatori di diversi virus, compresi i coronavirus, ma vivono in natura e non entrano in contatto con le persone, almeno fino a quando non vengono perseguitati e cacciati. “Questa è la cosa più rischiosa che possiamo fare: prendere animali selvatici che pullulano di virus e poi giocare col fuoco mettendoli a contatto con gli esseri umani che vivono nel cuore delle grandi città, la cui densità di popolazione facilita la diffusione di questi virus”, ha spiegato il coautore dello studio Michael Worobey dell'Università dell'Arizona.

A rafforzare l'idea che tutto sia nato in quell'atroce mercato, anche l'analisi evolutiva dei genomi dei ceppi ancestrali del SARS-CoV-2; tutto lascia intuire che prima della diffusione del virus fra clienti e venditori del mercato umido pochissime persone – e forse nessuna – si erano infettate. Non c'è al momento la certezza che gli animali presenti nel mercato ittico alla fine del 2019 fossero positivi, perché è stata fatta piazza pulita prima della chiusura, ma questo studio può aiutarci a evitare future pandemie, ad esempio spingendo a chiudere per sempre questi luoghi di sangue e violenza, in cui la natura viene violata esacerbando il rischio di spillover. I dettagli della ricerca “Genetic tracing of market wildlife and viruses at the epicenter of the COVID-19 pandemic” sono stati pubblicati sull'autorevole rivista scientifica Cell.

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