A cosa servono i codici sulle confezioni di plastica e cosa c’entrano col riciclo
L'inquinamento da plastica è considerato una vera e propria emergenza globale, talmente seria che, secondo alcune stime, entro il 2050 nei mari e negli oceani del mondo ci saranno più rifiuti plastici che pesci. Non a caso ogni anno ci riversiamo dentro oltre 8 milioni di tonnellate di plastica, 570mila delle quali finiscono solo nel Mediterraneo, l'equivalente di 34mila bottigliette per l'acqua al minuto. È un disastro ambientale ed ecologico che può essere combattuto utilizzando meno prodotti di questo materiale – per fortuna l'Unione Europea si sta muovendo nella direzione giusta – e riciclando la plastica utilizzata. Per quanto virtuoso, tuttavia, il processo del riciclo non sempre dà i suoi frutti; secondo i dati dell'organizzazione internazionale Plastic Soup Foundation, infatti, fino ad oggi abbiamo riciclato soltanto il 9 percento di tutta la plastica prodotta dagli anni '50 del secolo scorso, sebbene l'Italia sia uno dei Paesi più virtuosi al mondo da questo punto di vista. Basti pensare che, nel 2021, come indicato dal Consorzio nazionale per la raccolta, il riciclo e il recupero degli imballaggi in plastica (COREPLA), la raccolta differenziata degli imballaggi in plastica conferita ai Centri di selezione è stata di 1.475.747 tonnellate, "con un aumento del 3% rispetto al 2020". Un nuovo record in termini di quantità trattata, "che ha portato l’Italia a un pro capite medio annuo di 24,9 kg. A guidare la classifica Sardegna e Umbria, rispettivamente con 34 e 32 kg per abitante", spiega il consorzio.
I rifiuti plastici sono legati a codici identificativi introdotti dalla Society of the Plastics Industry (SPI) nel 1988, che pur essendo preziosi per capire con quale tipologia di materiale si ha a che fare, non hanno un impatto significativo nella gestione del riciclo. Come spiegato da Plastic Soup Foundation, il codice 7 (o 0 o 07) indicherebbe una categoria mista di materiali che non potrebbe essere riciclato (o che lo sarebbe molto difficilmente) e che dunque dovrebbe finire nell'indifferenziata, ma le cose non stanno esattamente così. In Italia non è infatti il codice identificativo a determinare quale tipo di plastica sia differenziabile o meno, ma la "tipologia" dell'oggetto. Il decreto legislativo 152/06 stabilisce che nella raccolta differenziata della plastica possano essere inviati soltanto gli imballaggi. Una vecchia sedia rotta di plastica o un qualunque altro oggetto dello stesso materiale (che non sia un imballaggio) non va differenziato nella plastica, indipendentemente dal codice riportato. Come affermato a Fanpage dal COREPLA, per imballaggi "si intendono tutti quei prodotti che contengono, trasportano e proteggono oggetti di varia natura in ogni fase del processo di distribuzione, a prescindere dal polimero (tipologia di plastica) di cui sono composti". In questa categoria ricadono flaconi, buste, barattoli, bottiglie, pellicole, sacchetti e tutti gli altri contenitori in plastica. "Alla base vi è il principio della Responsabilità estesa del produttore e del conseguente Contributo Ambientale Conai: il produttore di un imballaggio, infatti, è responsabile fino a quando lo stesso diventa un rifiuto", spiega COREPLA.
Per quanto concerne i codici della SPI utilizzati anche nell'Unione Europea (sulla base della decisione 97/129/CE della Commissione del 28 gennaio 1997), essi individuano sei tipologie di plastiche principali e un settimo raggruppamento definito che talvolta viene definito "non riciclabile", ma che come abbiamo visto non è così, dato che un contenitore (ad esempio il flacone di un sapone liquido) che porta il codice 07 va nella differenziata della plastica. Il simbolo dei codici si caratterizza per le tre frecce che si inseguono (formando un triangolo) e da una una sigla identificativa. Il codice 01 PET (o PETE) si riferisce al polietilene tereftalato, utilizzato nelle bottiglie per le bevande, nei contenitori per gli alimenti, nelle fibre di poliestere e altro ancora; il codice 02 PEHD o HDP fa riferimento al polietilene ad alta densità (la plastica “dura”), come quella per i sacchi, i tappi, i contenitori degli integratori, le bottiglie del latte, i bidoni della spazzatura e altro ancora; il codice 03 PVC è il cloruro di polivinile usato per i contenitori dei prodotti chimici, nei tubi idraulici, negli infissi e altri prodotti resistenti; il codice 04 PELD o LDPE è per il polietilene a bassa densità, usato in sacchetti, secchi, bottiglie flessibili, pellicole avvolgenti e simili. Il codice 05 PP si riferisce al polipropilene, usato negli interni delle auto, nei contenitori usati nei forni a microonde, nei bicchieri, in varie fibre industriali, nei mobili in plastica e altro ancora; il codice 06 PS è il polistirolo, usato negli imballaggi, nei giocattoli, nelle custodie etc etc.
Il dibattuto codice 07 abbraccia diversi materiali, tra i quali figurano lo stirene acrilonitrile (SAN), il policarbonato (PC), il poliammide (PA), le bioplastiche, la plastica acrilica/poliacrilonitrile (PAN), il copolimero acrilonitrile-butadiene-stirene (ABS) e altri ancora. Molti di essi sono noti per essere difficilmente riciclabili. Non a caso la Plastic Soup Foundation indica che il codice 7 è una categoria mista "con cui nessuno può fare nulla"; tuttavia, come abbiamo visto, in Italia anche i contenitori con codice 07 vanno nella differenziata della plastica. L'organizzazione sottolinea inoltre che i simboli che caratterizzano i rifiuti plastici "sono inadeguati", non solo perché i codici possono essere difficili da leggere e trovare (basti pensare alla plastica trasparente), ma anche perché non dicono nulla ad esempio su “durezza, forma o consistenza” della plastica. Inoltre va tenuto presente che non tutta la plastica ha la stessa percentuale di riciclo.