La storia vera del Titanic: le reali cause dell’affondamento della nave
La vera storia del Titanic, che salpò il 10 aprile 1912 e naufragò il 14 aprile 1912, pur nella sua immensa drammaticità, affascina ed ha sempre affascinato; ma è anche stata un punto di partenza fondamentale affinché venissero studiate e messe in atto le politiche di sicurezza in mare. L'impressione e lo sgomento dell'opinione pubblica dinanzi a quelle 1500 vite e più, finite a causa di una montagna di ghiaccio che silenziosamente attendeva al varco il transatlantico «inaffondabile», non si fermarono alla semplice angosciosa constatazione del disastro: vennero condotte inchieste e ascoltate testimonianze, mentre gli studiosi continuano ad affannarsi sui dettagli e sui particolari, con l'obiettivo di comprendere il perché dell'immenso disastro che mai sarebbe dovuto accadere. Quanto meno non alla nave pensata per essere un gioiello della tecnologia, simbolo del progresso e del futuro, al suo orgoglioso viaggio inaugurale. Un secolo di domande, di interesse, di attenzioni talvolta morbose all'indirizzo di quel gigante dormiente sul fondo dei mari che trascinò nel proprio gorgo mortale centinaia di esistenze, tutte già pronte a puntare lo sguardo verso la terra promessa americana.
Perché le vedette non avvistarono l'icerberg
Il problema dei binocoli – La mattina del 16 aprile del 1912 il mondo veniva a sapere dell'affondamento del Titanic, due settimane dopo cominciava l' inchiesta che avrebbe rilevato un tale mescolarsi di clamorose negligenze ed impressionanti casualità da avere, ancora oggi, il potere di suscitare emozione. Disperati ed angosciati, i parenti dei passeggeri del Titanic, nel vecchio e nel nuovo continente, attendevano che giungessero notizie: chi si era salvato, chi era morto, cosa era accaduto, come era possibile che quella nave ritenuta sicurissima, frutto di raffinate e moderne tecniche industriali, che avrebbe potuto entrare in collisione con qualsiasi altra imbarcazione senza subirne i danni, fosse andata a fondo in meno di tre ore dopo l'impatto con un iceberg che, evidentemente, non era stato avvistato adeguatamente in tempo. Come venne accertato dalle primissime indagini, l'equipaggio non disponeva di un adeguato numero di binocoli: la sera del 14 aprile i due marinai di vedetta, Frederick Fleet e Reginald Lee, poterono lanciare l'allarme soltanto quando il gigante di ghiaccio era ormai già visibile ad occhio nudo e, dunque, pericolosamente vicino. Nei giorni precedenti la partenza da Southampton, c'era stato un rimpasto dell'equipaggio voluto dal Capitano Edward Smith: Henry Wilde, che navigava sulla nave gemella del Titanic, l'Olympic, divenne comandante in seconda. Gli altri ufficiali vennero retrocessi di rango e il 2° ufficiale Blair fu trasferito: nell'andar via frettolosamente, portò con sé la chiave del proprio armadietto in cui erano custoditi i binocoli per le vedette sulla coffa. Quella notte, la presenza di un binocolo avrebbe potuto riscrivere il corso della storia.
Come mai il capitano non lesse le segnalazioni sugli icerberg
Le comunicazioni telegrafiche – Ma numerosi erano gli eventi della lunga catena che portò al compiersi del destino del Titanic: analizzati al microscopio, disegnano quasi la trama di un perfetto romanzo in cui ciascun singolo personaggio recita in maniera impeccabile la parte assegnata. Come in ogni narrazione che si rispetti, tutti più o meno inconsapevolmente concorrono all'intrecciarsi delle vicende attorno al grande episodio centrale: così anche i marconisti, responsabili delle comunicazioni tra la nave e il resto del mondo, ebbero un ruolo fondamentale. Impiegati della Marconi, e non della White Star Line, trasmettevano messaggi a pagamento per conto dei passeggeri per arrotondare le entrate: le potenti e moderne antenne montate sul transatlantico consentivano di mantenere contatti fino a 400 miglia di distanza. Nel corso della giornata del 14 aprile del 1912, a partire dalla prima mattina, furono ben cinque le segnalazioni arrivate al Titanic da parte di navi che si trovavano più ad ovest: incredibilmente, di quei messaggi che davano la posizione di aree ad altissima densità ghiacci lungo la rotta dell'inaffondabile, furono solo in due a giungere in plancia, per quanto su alcuni di essi ci fosse l'indicazione «Riservato all'attenzione del Capitano». Due importantissimi marconigrammi provenienti dal Californian avrebbero potuto rivelarsi fondamentali per la sorte del Titanic: uno inviato alle 19.20 e il secondo alle 23.00. Nessuno dei due fu letto dal Capitano, anzi alla seconda forte trasmissione che spiegava come la nave si fosse dovuta fermare perché circondata dai ghiacci, il telegrafista rimproverò il mercantile perché il segnale troppo forte si era sovrapposto al suo lavoro, interrompendolo e creando fastidio e disturbo: alle 23.30 l'operatore del Californian, dopo diversi tentativi, andava a dormire spegnendo la radio.
Lo scontro laterale con l'iceberg
L'iceberg si avvicina, in una notte senza luna – Orgogliosa, sfavillante, in festa, la nave solcava i mari con i motori quasi al massimo, alla velocità di 21 nodi: la bianca montagna era lì in attesa, molto più a sud di quanto avrebbe dovuto essere, secondo quanto hanno da sempre sostenuto gli studiosi. Recentemente alcuni astronomi hanno avanzato la suggestiva teoria della «marea perfetta» come ipotesi per spiegare la presenza di iceberg in quel tratto di mare, in quel periodo dell'anno. Chi di dovere non era stato avvisato, il Titanic avanzava carico di quella leggerezza e di quella eccessiva sicurezza che i membri dell'equipaggio ostentavano e trasmettevano ai viaggiatori: alle 23.35, a meno di quattro miglia di distanza, l'iceberg compariva nel suo scintillante candore, tutto a prua. La campana venne suonata tre volte. La decisione del 1° ufficiale William Murdoch di virare a sinistra si sarebbe rivelata fatale: ma agì d'istinto poiché nessuno aveva previsto l'imprevedibile, il tempo fu troppo poco e l'abbrivio non impedì l'impatto, nonostante le macchine a indietro tutta. Se avesse proseguito a dritta, solo due dei compartimenti sarebbero stati danneggiati e la nave avrebbe potuto proseguire; ma la collisione con la fiancata laterale provocò numerosi squarci in diversi settori, piegando le lamiere. La nave andò a fondo in maniera rapidissima, troppo veloce per l'«inaffondabile». Si venne a sapere quasi subito che il ferro ordinato per eseguire i lavori di costruzione non era della miglior qualità esistente, best-best, il che avrebbe favorito fratture più estese nello scafo. Decenni dopo si verificò come anche i chiodi, le viti ed i perni fossero effettivamente realizzati in materiali metallici scadenti: ciò li portò a cedere rapidamente alla pressione dell'acqua che invase così, in maniera pressoché immediata, cinque o sei dei sedici compartimenti stagni.
La storia vera: solo 16 scialuppe per legge
La questione delle scialuppe – Ci fu poi la nota questione della scarsezza di scialuppe, solo 16 a fronte delle 48 che sarebbero state necessarie ad una nave del tonnellaggio del Titanic: l'ultima normativa in materia prevedeva un massimo di 16 per le navi che superavano le 10 000 tonnellate ma per un transatlantico di 46 000 tonnellate semplicemente non era stata varata una legge apposita. Di fatto, sostanzialmente, il tutto si svolse nel rispetto delle regole ufficiali governative, poiché un adeguamento in proporzione spettava evidentemente ancora al buon senso dell'armatore. Fu l'ennesima disattenzione, molto spesso imputata all'eccessiva fede che si nutriva nei confronti del progresso, vessillo e immagine di quei decenni a cavallo tra i due secoli. Indissolubilmente legate tra loro, quelle coincidenze disegnano e ritraggono perfettamente uno spirito fiducioso e ottimista, quasi ai limiti dell'ingenuità: lo stesso che, di lì a poco, si sarebbe addentrato nel disastro della prima guerra mondiale. Quella notte, il dolce mondo della Belle époque, così come a noi è dato ancora conoscerlo attraverso le sue magnifiche manifestazioni artistiche, con il suo mito della velocità (che fu anch'essa fatale al Titanic) perdeva in mare la propria innocenza, iniziando a fare i conti con un futuro dal quale non discendevano solo premi e benefici, ma anche tutti quei rischi e pericoli che, prima o poi, dovevano essere valutati, per evitarne il devastante impatto.