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Covid 19

No, il coronavirus non perde il 90% della sua capacità d’infettare dopo 20 minuti

Esperti di aerosol hanno smentito i risultati uno studio che indicava una significativa perdita di infettività del coronavirus dopo pochi minuti in aria.
A cura di Andrea Centini
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Nei giorni scorsi ha fatto il giro del web un nuovo studio dedicato all'infettività del coronavirus SARS-CoV-2, il patogeno responsabile della COVID-19, in base al quale il patogeno pandemico perderebbe il 90 percento della sua capacità di infettare entro 20 minuti dalla dispersione aerea. La quasi totalità del virus in “sospensione”, secondo i risultati della ricerca, perderebbe tale capacità entro i primi 5 minuti dalla presenza in aria, legata alle esalazioni di uno o più positivi. I risultati dello studio “The Dynamics of SARS-CoV-2 Infectivity with Changes in Aerosol Microenvironment” caricati su MedrXiv – ma non ancora sottoposti a revisione paritaria e dunque pubblicati su una rivista scientifica – sono stati aspramente criticati da alcuni scienziati, tanto da aver spinto l'epidemiologo e membro della Federation of American Scientists (FAS) Eric Feigl-Ding a paragonarli addirittura allo “sterco di cavallo”. Vediamo le ragioni di questo commento così caustico.

La nuova indagine è stata condotta da un team di ricerca britannico guidato da scienziati della Scuola di Chimica – Cantock's Close dell'Università di Bristol, che hanno collaborato con i colleghi della Scuola di Medicina Molecolare e Cellulare e della Scuola di Veterinaria. I ricercatori, guidati dal professor Jonathan P. Reid, hanno indicato che la perdita di capacità infettiva del coronavirus SARS-CoV-2 è legata al passaggio dalle condizioni umide e ricche di anidride carbonica nei polmoni a quelle più secche e povere di CO2 dell'ambiente esterno. Questo fattore – in combinazione con l'aumento del pH – determinerebbe il crollo nell'infettività del virus in brevissimo tempo, rendendolo innocuo e incapace di invadere le cellule umane. Ricordiamo che le particelle virali viaggiano nel cuore delle goccioline respiratorie – sia quelle piccole (aerosol) che quelle grandi (droplet) – rilasciate quando si tossisce, starnutisce, canta, urla o semplicemente mentre si parla e respira. Per giungere alle loro conclusioni gli scienziati dell'Università di Bristol si sono avvalsi di un dispositivo in grado di generare innumerevoli particelle contenenti virus e di farle levitare tra due anelli elettrici, per un tempo massimo di 20 minuti. Durante questa “fluttuazione” i ricercatori possono tenere sotto controllo parametri come l'umidità, la temperatura, la luminosità, l'incidenza dei raggi UV e molto altro ancora. Dall'analisi dei loro dati, come indicato, la perdita di infettività sarebbe del 90 percento in 20 minuti, ma con un crollo significativo già nei primissimi minuti.

Tutto piuttosto chiaro, se non fosse per i limiti intrinseci dell'analisi condotta. Come sottolineato su Twitter dalla professoressa Kimberly Prather, docente di Chimica Atmosferica presso il Dipartimento di chimica e biochimica dell'Università di San Diego e ricercatrice dell'Istituto di oceanografia “Scripps”, i ricercatori dell'Università di Bristol non hanno infatti utilizzato una composizione realistica di fluido respiratorio espirato per mettere a punto i propri esperimenti. In parole semplici, hanno utilizzato un aerosol fittizio (MEM 2% FBS) con dinamiche aeree non aderenti al mondo reale. Senza una composizione reale, si chiede la professoressa Prather, “cosa significano le loro dinamiche di evaporazione, struttura e risultati infettivi rispetto al mondo reale?”. “Biologia e fisica dipendono dalla composizione”, ha chiosato senza mezzi termini la scienziata. Praticamente, crolla tutta l'impalcatura dello studio.

In un altro cinguettio su Twitter la scienziata si è scagliata contro i titoloni di giornale che riportavano la notizia, correggendone sarcasticamente uno: “COVID-19 perde il 90% della capacità di infettare in pochi minuti nell'aria: Studio” dovrebbe diventare “COVID-19 con la composizione del fluido errata perde il 90% della capacità di infettare in pochi minuti nell'aria: Studio non pubblicato e non ancora revisionato da pari”. Basandosi su premesse tanto deficitarie, il professor Eric Feigl-Ding non ha esitato ad accostare i risultati dello studio al sopracitato sterco di cavallo. “Gli scienziati ammettono di non aver usato la fisica del mondo reale e la dinamica dell'aria. Dovrebbe essere ritirato”, ha chiosato l'epidemiologo, aggiungendo di ascoltare sempre cosa ha da dire sugli aerosol la professoressa Prather, essendo una delle massime esperte a livello internazionale.

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