Nel sangue degli astronauti rilevate mutazioni associate a cancro e malattie cardiache
Le radiazioni cosmiche e solari rappresentano uno dei principali pericoli del volo spaziale ed è anche per questo motivo che nella missione Artemis 1 della NASA verranno testati innovativi giubbotti per proteggere gli astronauti. Nel volo dimostrativo senza equipaggio, il cui lancio è stato rinviato la sera del 3 settembre, un manichino di donna sulla navetta Orion sarà equipaggiato con uno di questi giubbotti, mentre un altro volerà attorno all'orbita lunare senza di esso. Poiché entrambi hanno sensori per rilevare le radiazioni accumulate, al termine della missione – che durerà una quarantina di giorni – gli scienziati della NASA comprenderanno l'effettiva utilità del nuovo indumento, chiamato AstroRad. Qualora fosse efficace si tratterebbe di una notizia particolarmente preziosa per gli astronauti, visti i preoccupanti risultati di un nuovo studio, in base ai quali il volo spaziale catalizzerebbe il rischio di cancro e malattie cardiovascolari.
A condurre la ricerca è stato un team di scienziati statunitense guidato da esperti della Icahn School of Medicine at Mount Sinai di New York, che hanno collaborato a stretto contatto con i colleghi del Robert M. Berne Cardiovascular Research Center dell'Università della Virginia, dell'Università della California di San Diego e del Centro Medico Wexner dell'Università Statale dell'Ohio. Gli scienziati, coordinati dal professor David A. Goukassian, docente di Cardiologia presso il Cardiovascular Research Institute dell'istituto newyorchese, sono giunti alle loro conclusioni dopo aver analizzato il sangue di 14 astronauti della NASA (National Aeronautics and Space Administration) che hanno volato a bordo dello Space Shuttle tra il 1998 e il 2001, in missioni relativamente brevi con una durata media di 12 giorni. Nella maggior parte dei casi si trattava di uomini (85 percento) e l'età media era di 42 anni. In 6 erano alla loro prima missione.
Il loro sangue è stato raccolto 10 giorni prima del volo nello spazio e il giorno successivo al rientro, mentre i globuli bianchi sono stati prelevati 3 giorni dopo il rientro. Tutti i campioni sono stati conservati a una temperatura – 80° C, prima di essere analizzati per lo studio in questione. Il professor Goukassian e i colleghi hanno rilevato nel sangue di tutti e 14 gli astronauti peculiari mutazioni somatiche associate a una condizione chiamata ematopoiesi clonale (CH), in cui le cellule staminali ematopoietiche (HSC) o altre cellule progenitrici generano una sottopopolazione di cloni con una mutazione condivisa nel DNA. I ricercatori spiegano che queste mutazioni sono generalmente associate a fattori ambientali, sostanze chimiche e terapie per trattare il cancro, ma nel caso specifico il principale indiziato è l'esposizione alle radiazioni durante il volo spaziale.
“Gli astronauti lavorano in un ambiente estremo in cui molti fattori possono provocare mutazioni somatiche, soprattutto radiazioni spaziali, il che significa che c'è il rischio che queste mutazioni possano trasformarsi in ematopoiesi clonale. Dato il crescente interesse sia per i voli spaziali commerciali che per l'esplorazione dello spazio profondo, e i potenziali rischi per la salute dell'esposizione a vari fattori dannosi associati a missioni spaziali di esplorazione ripetute o di lunga durata, come un viaggio su Marte, abbiamo deciso di esplorare, retrospettivamente, le mutazioni somatiche nella coorte di 14 astronauti”, ha dichiarato in un comunicato stampa il professor Goukassian, MD, professore di medicina (cardiologia) presso il Cardiovascular Research Institute a Icahn Mount Sinai. In tutto sono state identificate 34 tipologie di mutazioni in 17 geni legati all'ematopoiesi clonale, con le mutazioni più prevalenti rilevate nei geni TP53 (che sintetizza una proteina di soppressione del tumore) e DNMT3A, che è coinvolto nella leucemia mieloide acuta, risultando uno di quelli maggiormente mutati. Poiché diversi studi hanno trovato associazioni tra ematopoiesi clonale con patologie oncologiche del sangue ematopoietiche e malattie cardiometaboliche, i ricercatori ritengono sia fondamentale approfondire le indagini per monitorare al meglio la salute degli astronauti.
“Sebbene l'emopoiesi clonale che abbiamo osservato fosse di dimensioni relativamente piccole, il fatto che abbiamo osservato queste mutazioni è stato sorprendente data l'età relativamente giovane e la salute di questi astronauti. La presenza di queste mutazioni non significa necessariamente che gli astronauti svilupperanno malattie cardiovascolari o cancro, ma c'è il rischio che, nel tempo, ciò possa accadere attraverso l'esposizione continua e prolungata all'ambiente estremo dello spazio profondo”, ha concluso il dottor Goukassian. Un precedente studio aveva rilevato che le radiazioni accumulate durante un viaggio verso Marte sarebbero mortali, catalizzando il rischio di cancro all'intestino. I dettagli della nuova ricerca “Retrospective analysis of somatic mutations and clonal hematopoiesis in astronauts” sono stati pubblicati sulla rivista scientifica Nature Communication Biology.