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Nel Regno Unito è nato un bambino con il DNA di 3 genitori: com’è possibile

Il primo bambino del Regno Unito con il DNA di tre genitori è nato presso una clinica di Newcastle. Il piccolo è stato concepito attraverso un’innovativa tecnica di procreazione assistita che combina il DNA dei genitori biologici con quello di una donatrice: l’obiettivo è impedire lo sviluppo di gravi malattie ereditarie.
A cura di Andrea Centini
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Nel Regno Unito è nato un bambino con il DNA di tre persone: quello dei due genitori biologici e una piccola parte di DNA mitocondriale di una donatrice, che è stato utilizzato in un'innovativa tecnica di fecondazione assistita. Tecnicamente si tratta di una procedura di fertilizzazione in vitro (FIVET / IVF) conosciuta con diversi nomi: Spindle Nuclear Transfer, Trattamento di donazione mitocondriale (MDT) o Terapia sostitutiva mitocondriale (MRT). Il concetto è sempre il medesimo, ovvero sostituire il DNA mitocondriale della madre con quello della donatrice al fine di impedire ai bambini di sviluppare malattie ereditarie incurabili e potenzialmente letali, innescate proprio dal profilo genetico mutato dei mitocondri della mamma.

La tecnica è stata impiegata la prima volta in Messico nel 2016 per far nascere il piccolo Abrahim Hassan; la madre era portatrice dei geni responsabili della Sindrome di Leigh o encefalopatia necrotizzante subacuta, una “malattia neurologica progressiva che interessa il sistema nervoso centrale e in particolare il tronco cerebrale e il cervelletto”, come spiegato dall'Istituto Telethon. I bimbi affetti sviluppano vari sintomi – ritardo psicomotorio, vomito ricorrente, epilessia e altri disturbi – che peggiorano rapidamente; la morte sopraggiunge nei primi anni di vita. Grazie alla tecnica della sostituzione mitocondriale è dunque possibile concepire un bimbo con il DNA del padre e quello nucleare della madre, con il piccolo contributo di quello mitocondriale della donatrice, per impedire il trasferimento della maggior parte dei geni dannosi (una piccola parte di geni mutati passa comunque). Nel gennaio del 2017 era nata anche la prima bimba con la medesima tecnica, presso la la clinica Nadiya di Kiev, in Ucraina. Non è noto quale grave malattia ereditaria sia stata prevenuta nel caso del bimbo nato del Regno Unito, il cui concepimento in vitro è stato eseguito presso il Newcastle Fertility Centre, come specificato dal Guardian.

I mitocondri sono considerati le “centrali” che forniscono energia alle cellule e sono dotati di un DNA proprio, ecco perché è possibile combinarne tre differenti per far nascere un bambino. Con lo sperma del padre si fecondano gli ovociti della madre (con i geni mutati) e quelli della donatrice sana; il DNA nucleare degli ovociti della donatrice viene rimosso e sostituito con quello dei genitori. Viene impiegata solo una piccolissima percentuale di DNA mitocondriale della donatrice, pari allo 0,2 percento del DNA totale – una quarantina di geni in tutto – del bambino; il restante è DNA fornito dalla madre e dal padre. Dopo il processo di trasferimento l'ovulo con il completo set cromosomico e i geni sani viene impiantato nell'utero per avviare la gravidanza.

Le mutazioni che colpiscono i mitocondri possono comportare patologie estremamente gravi a carico degli organi che consumano maggiori quantità di energia, come cuore, cervello e fegato; spesso sono incurabili e provocano la morte pochi anni dopo la nascita, come la sopracitata Sindrome di Leigh. Per questa ragione disporre di una tecnica di fertilizzazione in vitro innovativa che permette di far nascere bimbi sani è una vera e propria rivoluzione. Tuttavia i casi noti in letteratura scientifica sono ancora pochissimi ed è passato troppo poco tempo dalle prime nascite, dunque per avere certezze sull'efficacia e la sicurezza a lungo termine è necessario continuare a monitorare i piccoli.

In alcuni bimbi, inoltre, i pochi geni mutati che riescono comunque a passare dalla madre possono imporsi con un processo di inversione e far sviluppare un disturbo mitocondriale. “Il follow-up a lungo termine dei bambini nati è essenziale. La fase di sviluppo in cui si verifica l'inversione non è chiara, ma probabilmente si verifica in una fase molto precoce. Ciò significa che i test prenatali, eseguiti a circa 12 settimane di gravidanza, potrebbero riuscire a identificare se si è verificata un'inversione”, ha dichiarato al Guardian il professor Dagan Wells, docente di genetica riproduttiva presso l'Università di Oxford. Non è ancora chiaro come e perché si verifichi questo processo, pertanto andranno studiati a fondo tutti i casi dei piccoli nati con questa tecnica rivoluzionaria.

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