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Covid 19

Miocardite e trombosi: i rischi reali del vaccino Covid in uno studio su 99 milioni di vaccinati

Un enorme studio che ha coinvolto quasi 100 milioni di vaccinati contro la Covid ha fatto maggiore luce sui potenziali rischi dei farmaci. Ecco cosa è stato scoperto su miocardite, pericardite, trombosi e altre reazioni avverse associate al vaccino durante la pandemia.
A cura di Andrea Centini
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Durante la pandemia di COVID-19 gli effetti collaterali e le reazioni avverse innescati dal vaccino sono stati ampiamente dibattuti, finendo spesso nel tritacarne della disinformazione a tutto vantaggio della narrazione novax. Ancora oggi circolano moltissimi meme su internet – in particolar modo sui social network – con informazioni distorte, fuorvianti o del tutto false sulle “conseguenze” della vaccinazione. Al di là delle polemiche, gli esperti di epidemiologia hanno continuato a valutare approfonditamente (e continuano a farlo) l'impatto dei vaccini contro la diffusione del coronavirus SARS-CoV-2 nel corso degli anni, determinandone con sempre maggior precisione costi e benefici. Un nuovo studio, il più grande mai effettuato sulla sicurezza di questi medicinali, ha fatto emergere l'incidenza di eventi avversi come trombosi, pericardite, miocardite e altre condizioni balzate agli onori della cronaca in ben 99 milioni di individui dopo la vaccinazione. Prima di addentrarci nei risultati, indubbiamente interessanti, è doveroso fare una premessa su ciò che hanno rappresentato questi vaccini nella lotta a un patogeno che, ad oggi, ha ucciso (ufficialmente) circa 7 milioni di persone.

I vaccini anti Covid sono stati valutati come sicuri ed efficaci da approfonditi trial clinici e per questo i principali enti regolatori sanitari – come la FDA negli Stati Uniti, l'EMA in Europa e l'AIFA in Italia – li hanno approvati per combattere la pandemia di COVID-19. È grazie ai vaccini che sono state prevenute decine di milioni di vittime e siamo riusciti a uscire dalla fase più critica delle ondate, tra lockdown e altre misure draconiane. Basti sapere che, in base allo studio “Global impact of the first year of COVID-19 vaccination: a mathematical modelling study” pubblicato sull'autorevole rivista scientifica The Lancet Infectious Diseases, solo nel 2021 i vaccini hanno evitato 20 milioni di morti in tutto il mondo. Secondo un team di epidemiologi dell'Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), dal 2020 a oggi oltre 1 milione di europei con più di 60 anni hanno avuto salva la vita grazie ai vaccini anti Covid.

Queste ricerche mostrano chiaramente l'estrema efficacia dei vaccini contro l'infezione da coronavirus SARS-CoV-2, ma come per ogni altro medicinale non esiste un rischio zero. L'approvazione, infatti, è legata sempre a un delicato equilibrio tra costi e benefici. È proprio per questo che risulta fondamentale la sorveglianza sui farmaci anche dopo l'immissione in commercio, attraverso gli studi di Fase 4. Essi, infatti, sono in grado di far emergere con maggiore chiarezza l'incidenza di eventuali effetti collaterali e reazioni avverse, in virtù del gran numero di persone coinvolte. Ciò è ancor più vero per quelli rari. È esattamente ciò che si prefissato di fare il Global Vaccine Data Network (GVDN), che attraverso il progetto Global COVID Vaccine Safety (GcoVS) ha valutato a fondo i tassi di incidenza di 13 condizioni (cardiache, ematiche e neurologiche) mettendo a confronto quelli emersi dopo la vaccinazione e quelli attesi in assenza del vaccino. In altri termini, hanno valutato quanto i vaccini hanno aumentato il rischio delle condizioni esaminate, andando a caccia di quelli che gli epidemiologi chiamano “segnali di sicurezza”.

Tra le reazioni avverse analizzate nello studio di osservazione, che ha coinvolto quasi 100 milioni di vaccinati di otto Paesi, figurano miocardite; pericardite; sindrome di Guillain-Barré; trombosi del seno venoso cerebrale; mielite trasversa; encefalomielite acuta disseminata e altre ancora. Le 13 condizioni sono state messe in relazione anche al tipo di vaccino impiegato, ovvero quello a vettore adenovirale e quello a mRNA. Incrociando l'enorme mole di dati è emerso che, entro 42 giorni dalla vaccinazione, il rischio era molto simile a quello di fondo – cioè quello atteso senza vaccinazione nella popolazione generale – per la maggior parte delle condizioni in esame. Ma con alcune differenze significative, proprio in virtù dell'enorme numero di persone vaccinate analizzate.

Ad esempio, nei soggetti che avevano ricevuto un vaccino a vettore virale sono stati registrati 190 casi di sindrome di Guillain-Barré, rispetto ai 66 previsti in assenza della vaccinazione. Per quanto concerne la trombosi del seno venoso cerebrale, dopo la prima dose del vaccino a vettore virale i ricercatori hanno osservato un rischio oltre 3 volte superiore a quello atteso (69 casi contro i 21 attesi). Il rischio di questa condizione aumentava anche dopo un vaccino a mRNA, pari a 1,49 volte dopo la prima dose e 1,25 volte dopo la seconda. L'encefalomielite acuta disseminata ha mostrato un rapporto di casi osservati rispetto a quelli attesi di 3,78 (IC 95%: 1,52, 7,78) dopo la prima dose di un vaccino a mRNA, con 7 casi rilevati rispetto ai 2 attesi. Pericardite e miocardite hanno avuto un incremento con entrambe le tipologie di vaccinazione. Con un vaccino a mRNA il rischio di pericardite è passato da 1,74 volte dopo la prima dose a 2,64 volte dopo la quarta dose. Per la miocardite, il rischio è aumentato da 3,48 volte dopo la prima dose a 6,10 dopo la seconda con lo stesso vaccino a mRNA. Si tratta di dati statisticamente significativi, come evidenziato dal rosso nelle tabelle dello studio.

Come spiegato in un comunicato stampa dagli scienziati dell'Università di Auckland che hanno partecipato all'indagine, le analisi osservate rispetto a quelle previste servono a rilevare potenziali segnali di sicurezza dei vaccini. Nel caso dei vaccini anti Covid sono emerse delle associazioni significative con alcune delle 13 condizioni esaminate, ma i numeri sono talmente bassi – tenendo presente il numero enorme di persone coinvolte – che non viene di certo inficiato il rapporto rischi benefici, ampiamente favorevole. “La dimensione della popolazione in questo studio ha aumentato la possibilità di identificare rari potenziali segnali di sicurezza del vaccino. È improbabile che singoli siti o regioni abbiano una popolazione abbastanza grande da rilevare segnali molto rari”, ha dichiarato la professoressa Kristýna Faksová del Dipartimento di ricerca epidemiologica presso lo Statens Serum Institut di Copenhagen (Danimarca) che ha guidato lo studio.

Questi dati sono preziosi non solo per la sorveglianza, ma anche per comunicare in modo trasparente al pubblico gli effettivi rischi della vaccinazione. Ad oggi, come indicato da Ourworldindata, sono state somministrate 13,57 miliardi di dosi di vaccino anti Covid e il 70,6 percento della popolazione mondiale ne ha ricevuta almeno una. I dettagli della ricerca “COVID-19 vaccines and adverse events of special interest: A multinational Global Vaccine Data Network (GVDN) cohort study of 99 million vaccinated individuals” sono stati pubblicati sulla rivista scientifica Vaccine.

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