Mario Tozzi: “Quello che succede alla Terra ha un responsabile: non ascoltate i mercanti di dubbi”

Fanpage.it ha incontrato nel cuore di Roma il geologo, divulgatore scientifico e conduttore televisivo Mario Tozzi, attualmente impegnato nella nuova stagione di Sapiens in onda su Rai3. Tozzi ha affrontato con la consueta schiettezza vari argomenti, dagli inizi della sua carriera in TV al rapporto con i social network, passando per i rischi del cambiamento climatico e l’impatto dell’Antropocene. Ecco il suo racconto.
Intervista a Mario Tozzi
Primo ricercatore del CNR, divulgatore scientifico e conduttore televisivo RAI del programma Sapiens
A cura di Andrea Centini
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L'11 maggio 2024 è iniziata la sesta stagione di Sapiens – Un solo pianeta, un programma di divulgazione scientifica in onda su Rai 3 condotto dal geologo e primo ricercatore del Consiglio Nazionale delle Ricerche (CNR) Mario Tozzi. Come suggerisce il nome della serie, legato all'epiteto del nome scientifico della nostra specie (Homo sapiens), il perno attorno a cui ruota l'intera narrazione del programma è l'impatto dell'uomo sulla Terra.

Non a caso le conseguenze del cambiamento climatico e la trasformazione dell'ambiente naturale catalizzati dalle attività antropiche sono tra le colonne portanti di Sapiens. Chiaramente non mancano riferimenti alle conquiste della nostra evoluzione, tra il racconto di meravigliose opere ingegneristiche e architettoniche del passato e del presente e viaggi emozionanti in luoghi ricchi di fascino, in Italia e nel resto del mondo. Per approfondire alcuni dei temi trattati su Sapiens e conoscere qualche aneddoto sulla carriera del divulgatore scientifico, Fanpage.it ha raggiunto Mario Tozzi nel cuore di Roma. Ecco cosa ci ha raccontato.

A maggio è iniziata la nuova stagione di Sapiens. I viaggi in giro per il mondo sono al centro del suo programma: qual è stato l'impatto della pandemia sulla serie che conduce? 

Il 2020 e il 2021 per noi di Sapiens sono stati anni difficili perché con la pandemia, naturalmente, era molto più difficile andare in giro. E noi basiamo gran parte del programma su un repertorio documentale del mondo, fondamentalmente. Dell'Italia soprattutto, ma anche del mondo. Quindi sono stati molto complicati da questo punto di vista. Abbiamo però colto l'occasione per fare tre puntate sulle pandemie in generale e sull'equilibrio epidemiologico che i Sapiens dovrebbero cercare con le altre specie di patogeni. Dunque abbiamo colto l'occasione per andare a Venezia, in particolare al Lazzaretto di Roma, sull'Isola Tiberina, a Napoli, in altri posti vicini, diciamo, ma che potessero consentire un discorso sulle malattie e il loro rapporto con l'ambiente naturale. Cioè quanto un ambiente naturale degradato provoca delle malattie e delle pandemie. Ecco, questo è quello che abbiamo fatto. E l'abbiamo fatto, direi, in maniera abbastanza approfondita.

Ci sono delle opportunità che sono state perdute con la pandemia?

La pandemia ci ha cambiato un po' i piani naturalmente. Avevamo da registrare cose in Grecia che non abbiamo fatto. Dovevamo andare in Turchia, cosa che non abbiamo fatto. Dunque da questo punto di vista è stato un limite. Però poi, quando siamo ripartiti, anche per essere stati così compressi in quel periodo, siamo ripartiti con uno slancio grande e abbiamo ricominciato ad andare in giro per parti del mondo che invece magari avremmo visitato con difficoltà. Penso al deserto del Sahara marocchino, penso alla Turchia orientale, vicino alla Siria, tutto sommato abbastanza difficile, anche di logistica. E penso al Sudafrica, dove ci siamo recati proprio recentemente. Sapiens è arrivato ormai alla sesta stagione, anche se c'è un po' di confusione sul numero di stagioni. Credo anche che siamo rimasti l'unico programma di divulgazione scientifica ambientale nella televisione pubblica. Non mi pare che ce ne siano. Ci sono tanti bellissimi programmi, ma non di questo tipo.

Lei è primo ricercatore del CNR e ha un dottorato in Scienze della Terra, ma è anche uno dei più noti divulgatori scientifici in Italia. Come è cominciata la sua carriera nella divulgazione? 

Ho cominciato per caso a fare il divulgatore. È stato tanti anni fa, nel 1996, c'era una trasmissione chiamata Geo & Geo che va in onda ancora oggi. La conduce Sveva Sagramola, a quel tempo la conduceva Licia Colò. Casualmente mi trovavo in quegli studi per via di un amico etologo che stava lì a commentare documentari sugli animali. Avevano acquistato un magazzino di documentari sulla geologia, quindi vulcani, terremoti, cose di questo genere. Mi chiesero cosa ne pensassi e io li commentai brevemente. Li facemmo in video, agli autori piacque quello che dissi e così nacque questa cosa. Da quel momento ho cominciato ad avere presenze per otto anni, l'ho fatto per tanto. Poi ho cominciato a lavorare con Licia Colò sul suo programma serale chiamato King Kong. Feci l'inviato per due anni, dopo di che partì l'avventura di Gaia. Parliamo del 2001. È durata quasi dieci anni. Poi ho passato un paio d'anni a La7, facendo Atlantide e la Gaia Scienza col Trio Medusa. È stata un'esperienza divertentissima. Infine sono ritornato in RAI con Fuoriluogo, un programma di seconda serata su Rai 1 e oggi con Sapiens. Dunque è stata un'esperienza di conduzione abbastanza continua, soprattutto il sabato sera in prima serata, forse la sfida più complicata per la divulgazione scientifica. Oggi non c'è rimasto granché.

E oltre la televisione?

Ho scritto tanti libri, sono editorialista su La Stampa, cerco di fare divulgazione su più fronti. Quello che mi diverte di più attualmente è fare conferenze dal vivo. C'è il pubblico, c'è subito la risposta. Anche di spettacoli ne faccio. Ne ho fatti con diversi altri protagonisti, per esempio con Dario Vergassola, Giobbe Covatta, Niccolò Fabi o Lorenzo Baglioni. Insomma, abbiamo messo in piedi una serie di collaborazioni che rendessero la divulgazione meno legata soltanto all'aspetto scientifico in senso stretto. Non è mai accademica la mia divulgazione. Pur essendo un ricercatore, cerco sempre di mantenerla su un altro registro.

Qual è stato il suo primo servizio?

Il primo servizio che realizzai fu come inviato di Licia Colò per King Kong. Era sull'alluvione di Serravezza del 1996. Dunque un evento che aveva provato le popolazioni e io lo ripresi in maniera piuttosto concitata perché era stato drammatico, mi pare con 12 morti a suo tempo. Quella fu la prima cosa. Io però rimango un po' prestato a questa professione, non la mia principale. Diciamo che stare davanti a una videocamera o su un palcoscenico è più o meno la stessa cosa che stare sulla cattedra. Non c'è moltissima differenza. Siamo tutti recitando un ruolo su un palcoscenico.

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Il cambiamento climatico è un cavallo di battaglia nei suoi programmi e nei post che pubblica sui social network. Più volte ha raccontato che uno degli effetti più devastanti di questo fenomeno è l'innalzamento del livello del mare. 

Ci sono due motivi che spingono all'innalzamento del livello del mare in questa crisi climatica. Uno è la fusione dei ghiacci, perché quell'acqua finisce in mare e dunque evidentemente innalza il livello dei mari. Si parla dei ghiacciai che stanno su terraferma, perché i ghiacci del Polo Nord, pur fondendosi, non portano a un incremento. Come sa chiunque abbia messo in frigorifero una bottiglia d'acqua e l'abbia fatta ghiacciare. Gli oceani però si dilatano anche perché sono più caldi.

Esatto, una cosa molto interessante di cui si è parlato nella prima puntata della nuova stagione di Sapiens è il fenomeno della dilatazione termica. In cosa consiste?

Gli oceani più diventano caldi – e lo diventano per via del fatto che il clima sta diventando più caldo – tanto più crescono di volume. I due effetti insieme producono un innalzamento che ora noi registriamo in maniera ancora non significativa. Parliamo di decimetri, ma che presto potrebbe essere molto più importante. Anzi, lo sarà senz'altro, perché si calcola che se si dovessero fondere tutti i ghiacci della Terra – mettiamo che, come al tempo dei dinosauri, i ghiacci non esistessero più – i mari si alzerebbero di una cinquantina di metri se non di più. Qualcuno dice anche 60 o 70 metri in più, quindi sarebbe una catastrofe vera. Speriamo di non arrivare a quel punto, ma di fatto anche l'innalzamento di pochi centimetri su isole in mezzo al Pacifico, all'Indiano o a Venezia, Amsterdam, Singapore, New York, può portare a sconvolgimenti epocali. Quindi è un punto sotto grande attenzione rispetto alla crisi climatica in corso.

Lei usa frequentemente i social network. Che rapporto ha con il pubblico di queste piattaforme? 

In genere le persone che mi fermano per strada – quello che potrebbe essere chiamato il mio pubblico – sono persone che mi hanno visto in televisione o nei miei programmi, o in altri programmi in cui mi chiamano a commentare qualche evento. Sono piuttosto quelli che mi sentono in radio, più che quelli dei social media. È un pubblico col quale ho meno confidenza. Più che altro vengo usato dai social media, non è che li uso tanto. Io però capisco che se ce li hai ci devi dedicare del tempo. È un tempo un po' alienante, anche perché una parte del tempo la metti nel buttare via la zavorra, cioè quelli che ti odiano senza motivo, che non hanno niente da dire eppure lo dicono, quelli che dicono sciocchezze di ogni risma e natura, sono generati automaticamente, sono frutto di intelligenze artificiali. Insomma, tutta quella “spazzatura” di cui possiamo tranquillamente fare a meno. Ce ne sono invece altri che fanno domande vere, portano la loro esperienza, i loro racconti. Quelli li ascolto sempre molto volentieri, tenendo presente che però non è che sui social network puoi fare una divulgazione di un certo livello. Lo spazio è quello, le battute sono quelle, le immagini che puoi mettere sono quelle. Si può casomai commentare il risultato di una ricerca, non tanto l'aspetto scientifico.

Cosa vede nei tanti commenti che le arrivano sui social?

Quello che però più mi colpisce è l'assoluta, trasversale, dilagante ignoranza nelle materie scientifiche che c'è e quella la riscontri tutta, ma proprio del metodo. Cioè non si capisce che un fenomeno fisico, come per esempio il cambiamento climatico, la pandemia o l'evoluzione dei viventi, non può essere affrontata come se si affrontasse la formazione di una squadra di calcio. Va affrontato con metodo scientifico, dunque con l'unico sistema che abbiamo per approssimare la realtà, che è la scienza. Che non è sempre perfetta, anzi, si sbaglia molte volte, ma non abbiamo un metodo migliore.

Ci fa qualche esempio?

C'è chi mette prima l'esperienza personale al di sopra di noi. “La temperatura per me era più calda quando ero bambino”. Non è vero. Semplicemente, però tu ricordi così. Sui social network è pieno di persone che hanno un cugino che si è sentito male per via del vaccino, quell'altro che si è riscaldato troppo, uno che pensa alle scie chimiche come portatrici di sciagure meteorologiche. Ecco, tutto questo, che è paccottiglia da un punto di vista scientifico, purtroppo infesta i social media e questo li rende non particolarmente digeribili. Hanno un grande pregio della sintesi. Puoi, con una foto o poche frasi, dire qualcosa. Però spesso vengono sfruttate molto, molto, molto male. Io quando li uso, li uso per imparare. Ma quanti ce ne stanno che dovrebbero usarli per imparare e invece fanno finta di insegnare?

Un altro tema che lei ha trattato varie volte è quello dei cosiddetti “mercanti di dubbi”, dei quali ha parlato anche nella prima puntata della nuova stagione di Sapiens. 

È evidente che chi nega il cambiamento climatico o nega un fenomeno fisico, per esempio essere andati sulla Luna per dirne uno, non ha come obiettivo la ricerca di un'altra verità o un altro dato da proporre, perché non ce ne sono. Che altro dato vuoi proporre sulla Luna? Ci siamo stati e basta. Che altro dato vuole proporre su questa crisi climatica? Il clima si sta riscaldando e dipende dalle nostre attività. Punto. Tutti gli scienziati sono d'accordo. Dunque non c'è lo scopo di fornire un'altra verità scientifica, perché non c'è. Naturalmente siamo tutti pronti a cambiare se i dati cambiano, ma per adesso non cambiano. Quindi qual è lo scopo? Quello di innalzare una cortina fumogena che ingeneri confusione. “Forse dipende da noi, ma magari non solo da noi, il cambiamento climatico”. “I vaccini forse fanno male, ma questi magari non sono abbastanza buoni”.

Quali sono le conseguenze di questi dubbi?

Che cosa deriva da questo dubbio? Che non si fa niente. Ne deriva l'inazione, ne deriva il prendere tempo. E a che serve prendere tempo? A generare e intascare più profitti. Ed è molto chiaro che se io dico che non tutti gli scienziati sono d'accordo sulla causa umana del cambiamento climatico, dico una sciocchezza. Però nelle persone che non lo sanno, ingenera una specie di: “Finalmente, meno male, non dipende da me soltanto”. Ti senti come liberato e ti induce pure a dire: “Ma guarda, gli scienziati non sono nemmeno d'accordo, si mettano d'accordo prima di chiedermi di fare qualche sacrificio”. Tutte cose non vere. E intanto chi su questa roba guadagna, continua a guadagnare.

Proviamo a fare un esempio.

L'esempio classico è quello del fumo. Si sapeva già dagli anni '50 che il fumo faceva venire il cancro. Dagli anni '70 si sa che fa venire il cancro pure il fumo passivo, ma i mercanti di dubbi hanno sparso dubbi sul fatto che fossero solo le sigarette a ingenerare i tumori. Hanno detto “è dove vivi, quello che mangi, dove lavori, l'automobile che porti”. Hanno detto che tutte queste altre cose erano pure dannose, cosa che è vera, ma non andava a inficiare il fatto che il fumo di sigaretta comunque faceva venire il cancro. Che cosa hanno ottenuto? Che il primo processo in cui una lobby del tabacco viene condannata in una causa di un cittadino è del 1996. Hanno guadagnato venti, trenta anni di profitti. È molto chiaro. Quello che fanno è questo: guadagnare tempo e denaro. Nessuna regolamentazione al sistema economico perché loro possano trarne un profitto, spargendo dubbi che non hanno una ragione scientifica, ma solo mediatica.

E perché le persone preferiscono sposare queste "teorie" e non quelle degli scienziati?

Ci sono diverse risposte alla domanda del perché le persone preferiscano qualche volta andare dietro alla cospirazione e al complotto. Intanto perché è una scorciatoia mentale. Il nostro cervello, se può andare al risparmio, ci va. Poi perché spesso le conclusioni scientifiche sono controintuitive. Prendiamo un cittadino, una persona, un umano nato sulla Terra che non abbia mai imparato niente. Vede ogni mattina il sorgere del Sole e lo vede tramontare. Penserà che il Sole gira attorno alla Terra. Che altro dovrebbe pensare, vede quello. Ma la conclusione reale è controintuitiva rispetto a quello che lui vede. E noi spesso vogliamo seguire la cosa più intuitiva.

E poi?

Poi ci sono quelli in malafede. Naturalmente ci sono quelli che guadagnano, pure quelli ci stanno. E poi ci sono quelli talmente tanto ignoranti che non hanno avuto né voglia, né tempo, né modo di andarsi a leggere anche una sola riga di un libro, nemmeno a scuola. Insomma, è un po' complesso. Non ci piace qualcuno che ci dica: “Guarda, se c'è la crisi climatica è colpa tua”. “Non lo voglio sentire. Io voglio essere libero di usare la mia vettura, di sprecare quanto mi pare, di non avere problemi con l'elettricità, la raccolta differenziata, la plastica. Non me ne frega niente. Voglio pensare soltanto a me”.

Recentemente un comitato di esperti ha respinto l'idea di stabilire un inizio per l'Antropocene, un'epoca geologica legata all'impatto dell'uomo sulla Terra. Cosa ne pensa?

I geologi stratigrafici, quelli che si occupano di assegnare nomi e periodi alle ere, hanno recentemente stabilito che non possiamo determinare un Antropocene perché le conseguenze di quest'epoca non sono così profonde nella litosfera come dovrebbero essere per segnare un'epoca geologica, ma non dicono che le conseguenze non ci sono. Lo dicono eccome. Semplicemente non sono arrivate ancora a incidere a livello così profondo nella crosta terrestre. L'era dell'Antropocene vorrebbe dire che ci sono nostri resti dappertutto. Ce ne sono già tanti, ma evidentemente non ancora abbastanza. Però non è quello il punto. Nel senso che possiamo discutere se c'è l'era oppure no, ma le conseguenze lo sappiamo che ci stanno. Si discute su quando farla iniziare.

Quando dovrebbe iniziare? Su questo c'è molto dibattito.

Il 1952 è l'ultimo dei periodi proposti, cioè proprio molto recentemente. Ma per quello che mi riguarda andrei più indietro, alla rivoluzione industriale, o meglio ancora all'agricoltura. Quello per me dovrebbe essere il momento in cui si fa cominciare l'Antropocene, perché è il momento in cui le deforestazioni e gli sconvolgimenti della superficie terrestre diventano irreversibili. Qualcuno si spinge a dire che è iniziato da quando è stato prodotto il fuoco dai viventi. Potrebbe anche essere, però siamo a 400.000 anni fa. Io penso che 10.000 anni fa, nel momento in cui gli uomini cominciano a modificare in maniera consapevole e irreversibile il territorio, è quello in cui dobbiamo porre l'Antropocene. Ma, ripeto, è poco importante stabilire se davvero esiste come era.

Perché?

Le conseguenze le vediamo, le soffriamo sulla nostra pelle. Sono sociali e incredibili: i flussi migratori, le persone che muoiono per le ondate di calore o per l'inquinamento, le perturbazioni meteorologiche a carattere violento, l'estinzione di specie. Sono tutte cose che registriamo. Ora vediamo quale sarà la traccia fossile di questi eventi, ma è chiaro che esiste un cambiamento determinante da quando l'uomo inizia a coltivare rispetto al passato. E poi un cambiamento che ha accelerato con la rivoluzione industriale ed è arrivato ai cambi irreversibili con l'era nucleare.

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