L’inverno che non c’è: rischi e conseguenze della neve perduta per la crisi climatica
Tra i principali effetti della crisi climatica che stiamo vivendo vi è la netta riduzione della copertura nevosa durante la stagione fredda, a causa del fatto che le temperature più elevate, semplicemente, riducono in modo significativo le probabilità che possa nevicare. In altri termini, il riscaldamento globale è associato a inverni più poveri di neve e dunque a montagne meno imbiancate. A testimonianza di questa condizione vi è una una foto emblematica dell'Italia scattata l'11 aprile del 2022 dal satellite Sentinel-3A della missione Copernicus, co-gestita dalla Commissione Europea e dall'Agenzia Spaziale Europea (ESA). All'inizio della primavera ci si aspetterebbe uno Stivale ancora largamente innevato, soprattutto sull'Appennino e sulle Alpi, dato che a marzo si verifica il massimo accumulo; ebbene, in questo scatto dallo spazio la neve risulta praticamente assente fino ai 2.400 metri di quota. È una condizione tipica dell'inizio dell'estate, non della fine dell'inverno.
A marzo di quest'anno si è verificato un significativo –63 percento nell'accumulo di neve in Italia, come specificato in un'intervista al Sole24Ore dal dottor Francesco Avanzi, ricercatore del CIMA (Centro Internazionale in Monitoraggio Ambientale) e idrologo specializzato in neve. Si tratta di 1/3 in meno rispetto alla media registrata negli anni precedenti e un dato in peggioramento rispetto a quanto visto nel 2022, l'anno più siccitoso nella storia del Bel Paese. Se infatti a marzo 2022 gli esperti contavano 6 miliardi di metri cubi d'acqua (quando solitamente ce ne sono 12-13 miliardi, come spiegato dal presidente del CIMA Luca Ferraris), a marzo 2023 ne sono stati registrati 4 miliardi. A dimostrare che in Italia c'è sempre meno neve anche i dati che arrivano dagli impianti sciistici; secondo il rapporto “Nevediversa 2023” di Legambiente la quasi totalità delle piste da sci italiane (90 percento) viene innevata in modo artificiale. In questo contesto di cambiamento climatico l'Italia è il Paese europeo che necessita di più neve artificiale per garantire il divertimento invernale, a discapito della sostenibilità: l'Austria, al secondo posto di questa classifica, ha bisogno di neve artificiale per il 70 percento delle proprie piste, mentre la Svizzera per il 50 percento.
Tutti questi dati indicano chiaramente che i nostri inverni sono sempre più poveri di neve, e la situazione continuerà a peggiorare di pari passo con l'esacerbazione della crisi climatica, intimamente connessa alle emissioni di CO2 (anidride carbonica) e altri gas climalteranti di origine antropica. Ma quali sono le effettive conseguenze delle montagne sempre più bianche? Tra le più devastanti vi sono quelle ecologiche. Gli habitat naturali in montagna sono infatti sostenuti da delicatissimi equilibri, nei quali le diverse specie di animali e piante si distribuiscono a quote diverse per occupare per le proprie nicchie ecologiche. Ma col punto di congelamento (0 °C) che sale sempre più di quota anno dopo anno, anche le specie devono “inseguirlo”, ma non tutte ci riescono, andando incontro a una perdita di distribuzione, come evidenziato dallo studio “Red-listed plants are contracting their elevational range faster than common plants in the European Alps” pubblicato sulla prestigiosa rivista scientifica PNAS.
Il problema principale, tuttavia, risiede nel fatto che le montagne non sono infinite. Le specie, di fatto, non potranno salire più in alto perché il punto di congelamento arriverà oltre la vetta, facendo perdere loro definitivamente l'habitat naturale nel quale si sono evolute per migliaia di anni. Ciò le condannerà a un'inevitabile estinzione. Del resto non hanno tempo e modo di adattarsi ai cambiamenti repentini dettati dalla crisi climatica in accelerazione. Non c'è dunque da stupirsi che le specie montane siano tra le più minacciate in assoluto dal riscaldamento globale.
Al di là dell'impatto su flora, fauna e ambiente in generale, gli inverni senza neve hanno molte altre conseguenze negative, anche sociali ed economiche. Senza precipitazioni nevose, infatti, va a ridursi drasticamente il serbatoio idrico che rimpingua i fiumi che scendono a valle, peggiorando ulteriormente l'impatto della siccità, anch'essa catalizzata dalla crisi climatica. Dall'acqua dei fiumi dipendono famiglie e attività economiche (basti pensare all'intero settore agricolo); con portate sempre inferiori si riduce la disponibilità di acqua per innaffiare i raccolti, dar da bere al bestiame e ovviamente quella potabile / sanitaria che arriva nelle case.
Il monitoraggio condotto dall'ARPA in Nord Italia all'inizio del 2022 ha evidenziato che mancavano oltre 2 miliardi di metri cubi d’acqua nei “grandi serbatoi” della Lombardia, rappresentati proprio dalla neve montana e dai grandi laghi regolati (come il Benaco, il Lario e l'Eridio), oltre che dagli sbarramenti idroelettrici. Tutti ricordiamo le polemiche innescate dalla necessità di razionare l'acqua nelle recenti e roventi estati proprio a causa della cronica carenza di acqua dolce. Emblematiche le immagini del fiume Po in secca, un deserto dal quale sono emersi fossili di animali preistorici e mezzi affondati durante la Seconda Guerra Mondiale.
Il problema, ovviamente, non riguarda soltanto l'Italia, ma tutto il mondo; basti pensare lo scioglimento devastante dei ghiacciai dell'Himalaya – negli ultimi dieci anni il tasso di fusione è aumentato del 65 percento – rischia di avere un impatto drammatico sulla vita di un numero enorme di persone. Dall'acqua che discende dalla catena montuosa, infatti, dipendono ben 2 miliardi di persone, 240 milioni che vivono sulle montagne e altre 1,65 miliardi a valle. Quando questo bene preziosissimo non sarà più disponibile si innescheranno migrazioni di massa senza precedenti, dato che diventerà impossibile coltivare, allevare il bestiame e in generale vivere in un ambiente dove non scorre più acqua dolce. Senza dimenticare che lo scioglimento di questi ghiacciai potrebbe portare alla luce virus e batteri mortali sepolti per millenni sotto uno spessissimo strato di ghiaccio. È un rischio da non sottovalutare poiché non ci siamo evoluti con essi e il nostro sistema immunitario potrebbe non essere adeguatamente preparato.
A rendere il tutto ancor più preoccupante, il fatto che la riduzione della copertura nevosa innesca un circolo vizioso amplificando il riscaldamento globale. Il manto candido del ghiaccio e della neve ha infatti una elevatissima albedo, ovvero la capacità di riflettere i raggi solari e quindi avere un effetto raffreddante. La nuda roccia e il terreno libero, d'altro canto, assorbono più calore e a loro volta favoriscono lo scioglimento del ghiaccio circostante e l'aumento della temperatura superficiale dell'aria. L'assenza di neve incrementa anche il rischio di frane e valanghe, come quella mortale accaduta sulla Marmolada. La neve, infatti, funge da “stabilizzante” per il terreno e la sua alterazione / diminuzione può favorire l'innesco dei disastri naturali. Gli inverni senza neve caratterizzati da perdita della biodiversità e degli ecosistemi, riduzione delle preziosissime risorse idriche e impatto devastante sulle attività economiche sono ormai una realtà, ma rappresentano solo una frazione delle molteplici conseguenze scatenate dalla crisi climatica in atto.