L’inatteso effetto sul cervello dell’ibuprofene: può migliorare memoria e cognizione, secondo uno studio
I ricercatori hanno trovato un'associazione statistica tra farmaci di uso comune come l'antidolorifico e antinfiammatorio ibuprofene e un “potenziamento” delle funzioni cognitive, come ragionamento, memoria e problem solving. Altri medicinali, come il paracetamolo, d'altro canto sono stati associati a un peggioramento delle capacità del cervello. È quanto emerso da un nuovo, approfondito studio, che è andato a caccia delle relazioni tra l'uso di questi farmaci – molti da banco e quindi acquistabili senza prescrizione medica – e la funzione cognitiva di centinaia di migliaia di persone. È doveroso sottolineare che si è trattato di un semplice studio osservazionale, tecnicamente una “analisi di regressione bayesiana multivariata di coorti trasversali retrospettive basate sulla popolazione”, pertanto non è stato rilevato alcun rapporto di causa – effetto tra l'assunzione di determinati farmaci e gli effetti su memoria, ragionamento e concentrazione.
L'associazione statistica evidenziata dallo studio è comunque significativa e i risultati sono considerati rilevanti anche perché la maggior parte di questi farmaci viene assunta da persone anziane, magari assieme a principi attivi più potenti per altre condizioni. I disturbi cognitivi in questa fascia della popolazione potrebbero essere influenzati proprio dall'uso continuativo di tali farmaci, magari scambiati per semplici effetti dell'età che avanza. A determinare che l'ibuprofene è associato a un miglioramento delle prestazioni cognitive mentre altri farmaci – come il paracetamolo – a un loro peggioramento è stato un team di ricerca internazionale guidato da scienziati britannici dello University College di Londra, che hanno collaborato a stretto contatto con i colleghi di vari istituti. Fra quelli coinvolti il Laboratorio di Neuroscienze Cliniche – Centro di Tecnologia Biomedica dell'Università Politecnica di Madrid (Spagna); il Centro per le malattie croniche e l'invecchiamento – Facoltà di scienze umane dell'Università di Greenwich; e il Dipartimento di politica sanitaria della London School of Economics and Political Science. La ricerca è stata finanziata da un ente di beneficenza del Regno Unito, la The Health Foundation fondata nel 1983. Tra i suoi obiettivi la riduzione delle disuguaglianze nella salute e il miglioramento del sistema sanitario nazionale britannico, l'NHS.
I ricercatori, coordinati dal professor Martin Rossor, neurologo presso il Queen Square Institute of Neurology dell'ateneo londinese, sono giunti alle loro conclusioni dopo aver analizzato i dati di tre coorti: la famosa UK Biobank, l'EPIC Norfolk e la Caerphilly Prospective Cohort. In tutto sono state coinvolte quasi 550.000 persone con età fino a 73 anni, cui sono stati sottoposti questionari per conoscere i farmaci che assumevano e test della funzionalità cognitiva. Gli esercizi hanno valutato problem solving, memoria, ragionamento e altre capacità cerebrali. Incrociando i dati tra assunzione di farmaci e punteggi dei test i ricercatori hanno quantificato l'impatto dei principi attivi sulla base della durata della prescrizione e l'interazione fra vari fattori.
Dall'analisi, ad esempio, è emerso che il comunissimo farmaco antinfiammatorio non steroideo (FANS) ibuprofene, utilizzato contro mal di testa, mal di denti, dolori mestruali e altre condizioni, è associato a un miglioramento significativo del punteggio cognitivo. Risultati positivi sono stati osservati anche con la glucosamina (usata ad esempio per i dolori articolari e l'osteoartrite), gli omega-3 trigliceridi – acidi grassi presenti in buone quantità nei pesci come il salmone – e il diclofenac, un altro FANS usato ad esempio contro i dolori muscoloscheletrici, l'artrosi e altre problematiche. Un peggioramento dei punteggi cognitivi è stato invece osservato in associazione al paracetamolo e in misura minore all'amitriptilina (un farmaco antidepressivo della famiglia dei triciclici) e altri principi attivi. Qui di seguito potete consultare l'elenco completo con i vari punteggi sulla cognizione complessiva.
Gli autori dello studio ribadiscono che si è trattato di uno studio di associazione, dunque non fa emergere rapporti di causa – effetto, pertanto non ci si deve buttare a capofitto su determinati farmaci da banco, né se ne devono evitare altri sulla base di questi risultati. Il consiglio degli esperti è sempre lo stesso: consultare il proprio medico curante prima di assumere medicinali e integratori, anche quelli senza prescrizione medica. L'ibuprofene, ad esempio, da precedenti studi è stato associato a un rischio superiore di dolore a lungo termine, così come a un aumento del rischio di arresto cardiaco, oltre ad annoverare potenziali effetti collaterali importanti.
L'associazione statistica con gli effetti sulla funzione cognitiva è comunque rilevante e andrebbe approfondita con studi randomizzati, in doppio cieco e controllati con placebo, il gold standard della ricerca scientifica. Del resto, come spiegato dal professor Rossor e colleghi, “gli effetti collaterali cognitivi dei farmaci sono comuni, ma spesso trascurati nella pratica e non considerati di routine negli studi interventistici o nella sorveglianza post-marketing”. Poiché possono avere un impatto significativo a livello di popolazione, “si dovrebbe prendere in considerazione una valutazione strutturata di routine della cognizione” attraverso apposite indagini, chiosano gli autori dello studio. I dettagli della ricerca “The Cognitive Footprint of Medication Use” sono stati pubblicati sulla rivista scientifica specializzata Brain and Behavior.