L’idea di Vannacci di rivendicare una “identità di età” è antiscientifica: la risposta della psichiatra
In amore e in guerra tutto è permesso, dice un vecchio adagio. Si può aggiungere che in politica e in campagna elettorale tutto sembra lecito. Ma così non è. Affermare in maniera provocatoria di rivendicare l'identità di età, per esempio, è una dichiarazione che parla a un elettorato preciso. "Se domani mi sveglio e mi sento un ventenne, mi devono cambiare la data di nascita sulla carta di identità. E magari vado in banca e chiedo un mutuo come se fossi un ventenne e non un cinquantacinquenne”, ha detto il generale Roberto Vannacci a margine di una conferenza stampa dell'Associazione della Stampa Estera a Roma.
Identità di genere come prevaricazione, così ne parla ai microfoni che lo hanno intercettato fuori dall'incontro. E così lancia una provocazione: se esiste l'identità di genere, "cioè il fatto che io domani mi sveglio e se mi sento una donna, tutti mi devono chiamare come una donna", sostiene. Una provocazione antiscientifica, ma al tempo stesso "un'affermazione politica, su questo non ci sono dubbi", come ha detto la dottoressa Anna Caterina Omboni, psichiatra e responsabile dell'ambulatorio di incongruenza di genere dell'ospedale Fatebenefratelli.
Cosa risponderebbe al generale Vannacci quando dice di rivendicare l’identità di età?
Intanto si può dire che fa un po' di confusione tra quello che è un dato biologico, cioè l’età, con un processo evolutivo come quello dell’identità. L’età è qualcosa che viene condizionata dal passare del tempo. Se nasco del 1973, nel 2024 avrò 51 anni. L'identità, invece, è un qualcosa che si fa in un processo di scambio complesso nella relazione mamma-bambino e in generale di relazione con le figure primarie. Un processo di scambio fra il mondo interno e il mondo esterno. è un fenomeno molto complesso quello dell’identità
Quindi non c’è una versione “relazionale” dell’età?
No, perché è il tempo a determinare la mia età, che è una variabile. E il suo trascorrere determina un processo degenerativo che, appunto, determina l’età. Non posso svegliarmi domattina e avere vent’anni. Vorremmo tutti essere più giovani, ma non funziona così. Mentre l’identità è qualcosa che si costruisce nel tempo. I problemi che si stanno sollevando oggi sull’identità di genere hanno a che fare col fatto che, purtroppo, viviamo in un contesto ambientale e culturale che condiziona anche la percezione che abbiamo di noi stessi e che definisce le traiettorie rispetto a noi stessi.
Cioè?
Se nasco biologicamente femmina, è quasi irreparabile che io cresca eterosessuale, che abbia un'identità femminile e che acquisisca ruoli solitamente attribuiamo alla donna, quindi l’essere madre, abbia dei valori legati alla famiglia e che mi occupi della casa. Ma questi sono dei condizionamenti socio-culturali che nascono dal primo Novecento, quando alcune definizioni binarie del genere sostenevano anche delle gerarchie economiche e politiche. In quel periodo la comunità scientifica ha cominciato a interrogarsi su cosa significhi il sesso biologico e si è cominciato, d’altra parte, a parlare di intersessualità.
Quindi dove sta il problema?
Definire l'identità di genere è un qualcosa di molto complesso. Si fa fatica a definirsi in modo libero, questo è il problema della società di oggi. Le persone hanno poca scelta quando si tratta di individualità e percezione di sé. Se l’ambiente circostante è condizionante, per esempio per una lettura binaria dell’identità, allora per forza nascerò femmina, sarò eterosessuale, sarò una madre e avrò un lavoro meno prestigioso di mio marito.
Come possiamo definire, quindi, l’identità di genere?
L’identità di genere è una dimensione che si struttura in tre istanze: genere, orientamento e sesso biologico. Il genere comprende l’espressione e l’identità, cioè rispettivamente l'esperienza esteriore, il modo in cui il soggetto si comporta per comunicare il proprio genere, e l’identità, che definisce un’esperienza interiore, come la persona si sente. L’orientamento sessuale indica verso chi il soggetto si sente attratto. Mentre il sesso biologico è l’insieme delle caratteristiche genetiche, ormonali e anatomiche.
Un’altra cosa che ha datto Vannacci, e tanti prima di lui, è che basta “svegliarsi sentendosi donna” per realizzare di esserlo, e quindi per potere chiedere di essere chiamato come tale. Funziona così?
Non credo proprio. Guardi, all’interno dell’ospedale Fatebenefratelli abbiamo un ambulatorio sull’incongruenza di genere. Ci occupiamo di giovani adulti con un non allineamento tra il vissuto esterno e vissuto interno, cioè il corpo non si allinea con l’identità di genere. Le storie che raccontano questi ragazzi sono tutto fuorché svegliarsi al mattino sentendosi uomini o donne. Sono racconti di grande sofferenza rispetto a una percezione interna che però viene osteggiata dall’ambiente circostante. Il loro dramma è che vivono in un contesto ambientale e culturale che è profondamente intollerante rispetto a tutto ciò che devia dalla eteronormatività.
Cosa significa?
Viviamo in un contesto binario che definisce l'eterosessualità come normativa. Questi soggetti che hanno, invece, una percezione di sé che non è allineata al corpo biologico vivono con profonda sofferenza il proprio stato. Persone che sono anche vittime di aggressioni quotidiane. Il signor Vannacci rispecchia il pensare comune, di ciò che in Italia è poco rappresentato. Le persone trans sentono di essere sbagliate proprio perché vivono in un contesto che le fa sentire sbagliate. L'affermazione “mi sveglio domani maschio” o “mi sveglio domani femmina”, non è così. È un processo di sofferenza lunga che spesso nasce dall'infanzia. Molti bambini, poi l’80% sviluppano un orientamento e un’identità vicini a quelli che definiamo come la norma. Gli altri, invece, prolungano fino all’adolescenza, continuando con il non allineamento fra corpo biologico e identità. E alla fine vivono un’identità trans da adulti. Ma è un processo lungo, che si sviluppa nel tempo.